Il racconto dell’escursione subacquea natalizia portata a termine dal giovane turese nel fiume Chidro
In occasione dell’ultimo numero di ottobre, abbiamo intervistato Raffaele Leogrande, turese classe 2000 e membro dello storico gruppo “5&9”. Al lavoro da idraulico Raffaele alterna momenti per se stesso e per la sua bicicletta, “una passione nata tanto tempo fa, alla vista di una bici d’epoca a cui poi mi sono affezionato parecchio” – spiegava. Al di là della sua professione e in aggiunta alla passione per le lunghe pedalate, Raffaele Leogrande ha deciso da alcune settimane di cimentarsi in una nuova sfida: le immersioni subacquee. “È il mio sogno nel cassetto” – puntualizzava ad ottobre mentre ci mostrava alcune foto delle sue “abissali esplorazioni” condotte assieme agli istruttori de “La scuola del mare” di Monopoli. Entrando nel merito, il nostro concittadino ha negli ultimi tempi scandagliato i fondali marini di Polignano, Torre Canne e Leuca, nuotando anche oltre i 20 metri di profondità; in queste circostanze, ossigeno alla bocca, Leogrande ha potuto osservare da vicino il “relitto di Torre Vado”, lo “scoglio dell’eremita”, la “madonnina” di Cala Incina, il relitto Gulten Islamoglu, nonché diverse specie animali e vegetali che abitano il mondo di Poseidone e che, stando nei pressi della riva, non sono facilmente ammirabili.
LE LACRIME DI SAN PIETRO E LA STATUA DI ZEUS
Durante le festività natalizie, il nostro impavido concittadino si è immerso nelle acque del fiume Chidro, il più importante del Salento, situato nei pressi di San Pietro in Bevagna e lungo complessivamente 13 km. In quest’ultima esperienza subacquea, come nelle precedenti poc’anzi menzionate, non è certamente mancata una buona dose di mistero. Al Chidro, infatti, si riallacciano varie leggende e tradizioni popolari: «Si narra che San Pietro, mentre si raccoglieva in penitenza, attraversò il Chidro piangendo per la sua grande colpa di aver tradito Gesù e le sue lacrime si sarebbero trasformate in conchiglie. Gli antichi abitanti di queste zone erano dunque soliti raccoglierle e conservarle come fossero reliquie. Un’altra leggenda narra che, all’arrivo del Santo in Bevagna, vedendo una statua di Zeus presso il Chidro e fattosi il segno della croce, essa si sia frantumata, così da permettere i primi battesimi dei pagani locali in queste acque che gli ricordavano quelle del fiume Giordano» – si legge su Wikipedia.
NEL CHIDRO, VERSO IL MARE APERTO
«Dopo circa due ore di tragitto, siamo arrivati al punto d’incontro. Successivamente, nell’arco di un’oretta, abbiamo preparato l’attrezzatura. Dopo averla controllata ed aver ricevuto l’ok del nostro istruttore, Vito Giannoccaro, siamo entrati in acqua in fila indiana. Molto lentamente, abbiamo raggiunto il fondale, situato a circa 11 metri di profondità, per poterlo osservare da vicino. Durante questo primo momento dell’immersione, ci siamo concessi un momento puramente ludico, divertendoci a scattarci reciprocamente delle foto, incuriositi dall’effetto che l’acqua avrebbe dato ai nostri scatti. Trascorsi venti minuti, lasciandoci trasportare dalla corrente, ci siamo spinti verso il mare, lungo un percorso in cui erano disseminate diverse canne di bambù e tanta altra vegetazione. Infine, passando in fila indiana al di sotto di un ponte alto un metro, abbiamo finalmente raggiunto la foce del fiume e quindi il mare. Una volta usciti, ci siamo recati alle nostre auto, dove ci siamo cambiati e, nel rispetto delle norme anti-Covid, abbiamo festeggiato il compleanno del nostro caro amico Vincenzo mangiando qualcosa tutti insieme».
Sei soddisfatto di questa esperienza?
«Assolutamente sì. Il fondale, coi suoi colori, era incantevole, grazie anche ad un’ottima visibilità. Altrettanto degna di nota la differenza di temperatura percepita sott’acqua ed una volta riemersi. È un’esperienza da rifare e la consiglio a tutti».
LEONARDO FLORIO