“Per una psichiatria dal volto umano”

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Vito Totire promuove la campagna per l’abolizione dei mezzi di contenzione in ogni contesto psichiatrico

Vito Totire, referente della “Rete per l’Ecologia Sociale”, è tra i promotori della mobilitazione nazionale, svoltasi il 13 febbraio 2021, per eliminare i mezzi di contenzione.

«L’iniziativa – spiega Totire – è stata rilanciata dalla rete “No Restraint” sull’onda della tragica vicenda che ha visto morire la giovanissima Elena Casetto, ragazza diciannovenne morta ustionata a Bergamo, il 13 agosto del 2019, mentre era legata al letto di contenzione in un SPDC (servizio psichiatrico diagnosi e cura). La mobilitazione, avviata subito dopo questo tragico omicidio colposo (ma quantomeno “colposo con previsione”), fu frenata dal Covid ma oggi viene rilanciata: troppi riscontri ci dicono di situazioni locali che necessitano di cambiamenti urgenti».

Un paradosso storico

«Se riflettiamo su alcuni eventi storici del Settecento – commenta Totire – pare incredibile che il “problema” esista ancora oggi. Pussin e Pinel in Francia, Tuke in Gran Bretagna e Chiarugi in Italia, molti anni prima della “invenzione” degli psicofarmaci (invenzione poi spesso consolidatasi come forma di “contenzione chimica”) liberarono le persone da trattamenti disumani e degradanti come la contenzione con camice di forza ed altri mezzi simili. Quell’approccio, maturato con motivazioni umanitarie nell’alveo del “secolo dei lumi” e della religiosità quacquera, ha poi purtroppo ceduto il passo alle pratiche manicomiali dell’Ottocento e non ha ceduto invece alla immissione massiccia degli psicofarmaci nel mercato».

«A più di 40 anni dalla legge 180 del 1978, che decreta formalmente il superamento dei manicomi, resistono dunque pratiche manicomiali inaccettabili e diffuse, tra cui la contenzione fisica, una pratica venata di sadismo sopravvissuta nonostante ogni evidenza di inefficacia e nonostante la drammaticità degli effetti a volte anche mortali. Di contro – riflette – gli SPDC (servizio psichiatrico diagnosi e cura) “no restraint” (ovvero che rifiutano la contenzione fisica) sono una minoranza nel panorama nazionale!»

Alcuni spunti di riflessione

«Come “Rete per l’Ecologia Sociale” ci inseriamo senza remore in questa campagna proponendo a chi è sensibile alla necessità di cambiamento alcuni punti di riflessione e alcune azioni.

1) Anzitutto, alle vittime degli interventi coercitivi e ai loro familiari chiediamo di parlare e denunciare i trattamenti subiti.

2) Agli operatori sensibili, in particolare a quelli che si sentono isolati e sono titubanti nell’andare controcorrente, rivolgiamo l’invito a “fare squadra”.

3) Evitiamo di sostituire alla contenzione fisica la contenzione chimica. Questo è doveroso e possibile, lo dimostra l’esperienza del SPDC di Ravenna (solo per fare un esempio) da cui è emerso che l’abolizione della contenzione comporta la riduzione e non l’aumento dell’uso degli psicofarmaci nonché un calo dei comportamenti aggressivi e degli infortuni.

4) Ai decisori politici, e in particolare ai presidenti ed assessori regionali, facciamo notare che stanno gestendo ed avallando una condizione in cui non vengono sostenute le pratiche di presa in carico adeguate, ma in cui si tollerano e “legittimano” di fatto, per pigrizia e adesione a stereotipi di tipo manicomiale, pratiche custodialistiche inefficaci dal punto di vista della salute psicofisica della persona e solo apparentemente efficaci dal punto di vista della “sicurezza”.

L’abolizione dei mezzi di contenzione (psichiatria, geriatria, carceri e ovunque) deve essere al centro di linee guida regionali, associate a strategie per il superamento di accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, per una psichiatria che significhi capacità sociale di presa in carico del disagio con il superamento di interventi coatti. Ci pare infatti assurdo che esistano linee guida su come “fare la contenzione” piuttosto che su come non farla.

Occorre un’iniziativa pubblica per affrontare questa drammatica situazione in cui le persone, in tutto il territorio nazionale, possono contare su un approccio terapeutico, più o meno adeguato, non sulla base dei loro bisogni reali ma sulla base degli orientamenti soggettivi delle strutture in cui ognuno di loro ha la ventura di capitare: in alcune Regioni, come la Puglia, esiste un solo centro ufficialmente “No restraint”, in altre è ancora “buio totale”. In sostanza, la speranza di un trattamento più adeguato – e quindi di una più adeguata speranza di salute – risente fortissimamente di inaccettabili variabili territoriali che devono essere invece portate verso l’alto.

5) Occorre che al centro di queste linee guida il TSO (trattamento sanitario obbligatorio) venga posto come disvalore, o più precisamente come fallimento della capacità di presa in carico in funzione di una psichiatria di tipo relazionale e consensuale.

Invitiamo chiunque intenda mettersi in sinergia con la campagna in corso a contattarci con osservazioni, critiche e proposte».

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