Biagio Elefante smonta la “leggenda” di Sammichele e l’ipotesi della parentela tedesca
All’indomani delle testimonianze raccolte da Stefano de Carolis, si è riaperta l’ancestrale disputa sull’origine della ciliegia ‘Ferrovia’ di Turi. Da un lato, ha ripreso piede la “leggenda” della nascita spontanea nei pressi di un casello ferroviario, nelle vicinanze della Masseria Sciuscio, in agro di Sammichele; dall’altro, è stata riproposta l’ipotesi che, in base alle ricerche genetiche avviate negli anni ‘90, la ‘Ferrovia’ abbia “antenati” tedeschi.
Entrambe le tesi sono fermamente respinte da Biagio Elefante, fondatore dell’Associazione per la ciliegia ‘Ferrovia’ di Turi che, a giugno 2003, iniziò la battaglia per il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta (DOP).
«Nella relazione storica presentata per la richiesta della DOP – spiega – abbiamo riportato le dichiarazioni scritte dei figli degli agricoltori che hanno visto nascere il primo albero di ‘Ferrovia’, in Contrada Prociere, alle spalle della Masseria Cozzolongo. Albero che, come ha riferito Stefano de Carolis, effettivamente è nato da un nocciolo, seminato da Giovanni Arrè e da suo cognato Matteo di Venere, molto probabilmente della varietà “capo di serpe” che si presenta appuntita, dura e aspretta finché non arriva a piena maturazione, proprio come la ‘Ferrovia’».
«Oltre alle testimonianze storiche – prosegue – ci siamo premurati di citare i passaggi salienti dei testi dei professori Donno e Godini, direttori dell’Istituto di Coltivazioni Arboree dell’Università di Bari, i quali sostengono che la ciliegia ‘Ferrovia’ si è diffusa a Turi e poi ha preso piede negli altri paesi. La stessa versione è perorata anche dal prof. Giorgio Bargioni, eminente studioso e direttore dell’Istituto di Frutticoltura della Provincia di Verona».
«In più – rimarca – la certezza che la “Ferrovia” ha il suo epicentro a Turi è testimoniata dalle esportazioni di Giovanni Simone, operate fin dall’inizio degli anni ’70, tutte documentate dalle bolle doganali. Se non bastasse, l’intera vicenda della “nascita” della Ferrovia è confermata anche da don Vito Ingellis in un articolo del 1985 pubblicato sul suo periodico “Turi Chiesa Madre”».
La “leggenda” di Sammichele
“Archiviata” la supposizione di una derivazione tedesca della nostra ‘Ferrovia’, Elefante passa a smontare la “leggenda” sammichelina: «È una ricostruzione priva di documenti – asserisce senza mezzi termini – che non trova conferma nelle dinamiche che portano all’affermazione del nome di un frutto. Difatti, le varietà prendono il nome o dal proprietario (come la mandorla Filippo Cea di Toritto o la mandorla Genco di Conversano) o dal luogo in cui si diffondono (come la ciliegia Ruvo, l’oliva “Termite di Bitetto” e la Coratina, la Bella di Cerignola, il pomodoro di Pachino)».
«Ebbene – conclude il ragionamento – se la ‘Ferrovia’ fosse nata a Sammichele oggi sarebbe conosciuta come ciliegia ‘Ferrovia’ di Sammichele, invece – lo ripeto – si è affermata come ciliegia ‘Ferrovia’ di Turi, poiché molti agricoltori turesi decisero di innestare nei propri terreni quella varietà, rendendola una ciliegia commerciabile e diffondendola in tutto il mondo».
Il valore della DOP, oltre la storia
«Al di là delle connotazioni storiche – fa notare Elefante, ritornando sul punto della DOP – secondo la normativa europea sono due i requisiti per l’attribuzione della Denominazione di Origine Protetta: il fattore pedoclimatico e quello umano, ovvero il modo in cui il frutto viene lavorato. In sostanza, ciò che pesa nella determinazione della “originalità” di un prodotto non è il luogo dove è nata la prima pianta ma quello dove il frutto ha acquistato fama. E nel caso della “Ferrovia” non vi è dubbio che questo luogo coincida con Turi, poiché – come abbiamo dimostrato – è da Turi che è stata diffusa ovunque con le peculiari caratteristiche che le ha dato il clima e il terreno del nostro paese, nonché la lavorazione dei nostri cerasicoltori».
«La DOP – sottolinea – serve a tutelare il consumatore dalle falsificazioni. Ecco perché, nel 2004, chiedemmo la denominazione “Ciliegia Ferrovia di Turi”, opponendoci al marchio IGP “Ciliegia di Terra di Bari” che, comprendendo un’ampia fascia territoriale, annullava il pregio della nostra ciliegia, facendola finire nell’indistinto calderone di circa 40 Comuni».
«L’importanza della DOP – argomenta – è quella di rendere il prodotto riconoscibile agli occhi del consumatore non solo perché è di Turi (IGP), ma perché ha determinate qualità legate a clima, terreno e metodi umani di coltivazione turesi (DOP): la IGP garantisce solo da dove proviene, la DOP garantisce la qualità conferitagli dalla provenienza. Tuttavia, questa riconoscibilità per cui ci siamo battuti cozza con gli interessi della grande distribuzione privata e “cooperativista” che ha sempre e solo promosso grossi areali – come appunto l’IGP “Ciliegia di Terra di Bari” – in modo da avere la possibilità di “spacciare” per ‘Ferrovia’ frutti di qualità e costo inferiori, coltivati in un Comune qualsiasi della provincia barese».
Fabio D’Aprile