La cantautrice acquavivese si esibirà stasera in Piazza dei Martiri
Gabriellerie la incontriamo “giù all’Orologio”, seduta al tavolo di un bar, certa che qualcuno presto o tardi verrà ad intervistarla. Ed è subito pensieri e parole, esperienze e letteratura e tanta, tanta musica. Sarà forse che letteratura e musica siano figlie di uno stesso dio ma per la ventunenne cantautrice acquavivese sono il racconto di un guardarsi dentro, seguendo il filo caotico dei pensieri, per raccontarsi.
Stasera chiuderà con uno spettacolo musicale in Piazza dei Martiri, “giù all’Orologio” appunto, l’evento “Spazi in Fiore 2021” organizzato dall’Associazione “Amici dell’Ambiente” in collaborazione con il Comitato Feste Patronali ed il Patrocinio del Comune. E per l’occasione si racconta ai nostri microfoni.
Gabriella, com’è sorta in te la passione per la musica? Da quando te ne occupi?
«Ho iniziato a suonare la chitarra che ero bambino. Avevo circa dieci anni. Tuttavia, solo a diciott’anni ho preso a scrivere canzoni. Decisivo è stato l’incontro con la musica Indie, intesa non come quella in voga nei primi Anni Duemila ma l’indie-pop. Lo stile colloquiale, semplice ma efficace delle band Indie mi ha fatto comprendere come anch’io potessi cimentarmi nella scrittura musicale per raccontare ciò che ancora non sentivo in quei brani. Quindi, la mia musica nasce anzitutto per auto-ascolto. E nasce nella mia cameretta. La svolta è ad un’assemblea di istituto quando scelsi di cantare in pubblico, accompagnata dalla mia chitarra. Qui un amico mi consigliò uno studio di registrazione, presso il quale registrai nel 2019 il mio primo singolo. Il risultato mi convinse a tal punto da pubblicare il mio primo brano “Te l’avevo detto” a cui tra il 2019 ed il 2021 ne sono seguiti altri sei».
“Gabriellerie” è un nome d’arte, da cosa deriva?
«Nasce dall’intendere le “gabriellerie” come le “cose/canzoni che fa e/o appartengono Gabriella”. Successivamente è divenuto “Gabriellerie”, letto alla francese dal fatto che in quel periodo mio fratello aggiungeva quel suffisso a qualsiasi cosa. Mi è piaciuto e l’ho fatto mio».
L’artista si trova spesso a confrontarsi con l’ascolto, la lettura, la visione di opere altrui che apprezza a tal punto da ritrovarsi dinanzi ad un foglio bianco chiedendosi se valga la pena scrivere, dipingere, comporre qualcosa, pensando che ormai sia stato già scritto, detto, composto tutto. Secondo te, c’è ancora da dire, cantare, scrivere?
«Certo. Io stessa ho avvertito che nelle canzoni altrui – spesso anche un po’ troppo retoriche – mancava la mia esperienza personale, unica, singolare. E mi è toccato raccontarla. Il sound ed i testi dei Canova mi hanno ispirata molto circa il modo di raccontarla. La mia difficoltà dinanzi al “foglio bianco” deriva dal fatto che scrivo solo se davvero ispirata, solo se ho davvero qualcosa da dire. In effetti in questi anni non ho scritto moltissimo e l’esperienza della pandemia ha inciso parecchio. Gioca un ruolo decisivo il desiderio di sentire ciò che non sento negli altri. Da questo desiderio parte il processo creativo».
Oltre ai Canova, chi ha influenzato la tua creatività?
«Sono una grande fan di Antonello Venditti ma non vorrei cadere nell’ipocrisia del dire “sono stata influenzata dai grandi cantautori del passato”. All’inizio mi sono sentita parte del discorso indie-pop ma ho preso una strada tutta mia. Anche la scrittura colloquiale di Carl Brave mi ha colpita in maniera decisiva. Infine, volendo limitare lo sguardo ai testi il contributo maggiore l’ha fornito la letteratura italiana del Novecento. Il suo studio durante l’ultimo anno di liceo è sfociato in una canzone “Maturità”, largamente costruita su citazioni di Ungaretti, Montale, D’Annunzio ma anche Manzoni e Leopardi. ».
Questo legame fra lo studio in vista della maturità e la composizione di questo brano rivela come per scrivere, comporre sia molto utile una formazione. Quanto ha inciso la formazione nel tuo percorso?
«Per molto tempo ho studiato chitarra, salvo poi interrompere. Me ne pento, tuttora! Viceversa, non ho una vera e propria tecnica di canto. Mi sono scoperta intonata ed ho poi lavorato per migliorare le mie capacità. I miei testi risentono molto della letteratura italiana del Novecento ma anche di testi di altre canzoni».
Da acquavivese com’è cantare in questa Piazza? Cos’è per te questo luogo?
«Da studente fuori sede è sempre un piacere tornare nella città d’origine. Tuttavia, non sento particolarmente un certo sentimento “patriottico”. Piuttosto, cantando in questa piazza mi sento a casa. Qui mi ascolterà chi da sempre mi è vicino: posso condividere la mia musica con le persone a me care. Ciò non accade altrove, ove mi sento un po’ spaesata. Questa piazza conserva anche il ricordo del mio concerto live proprio in occasione della festa patronale, quando condivisi il palco con altri artisti. Oggi, invece, sono ad un altro punto: avendo più brani, posso realizzare un evento live in autonomia».
Ti esibirai nel contesto di un evento che mira a sensibilizzare l’opinione pubblica locale circa la necessità di salvaguardare la natura e la specificità del nostro territorio. La mission dell’evento ha contribuito in qualche modo a scegliere di accettare l’invito a cantare qui anche per questo obiettivo?
«Sento particolarmente il tema ambientale tanto da aver scelto di studiare Agribusiness all’Università. Sapere di poter dare il mio contributo per far sì che una maggiore sensibilità ambientale mi rende ancor più piacevole esibirmi in questa piazza».
PIERLUIGI CASTELLANETA