Nell’articolo pubblicato lo scorso 14 novembre, vi abbiamo presentato l’iniziativa che l’associazione culturale ETS “Rizomi”, insieme a Stefano de Carolis, ha avviato per salvare il Bosco di Monteferraro – e il patrimonio archeologico, storico e naturalistico che rappresenta – attraverso una sottoscrizione pubblica.
«Dopo secoli di storia e di vita rurale e pastorale vissuta a Monteferraro – constatava amaramente de Carolis – solo una minima parte del bosco, ubicato tra i Comuni di Turi e Conversano, è sopravvissuta all’opera di distruzione perpetrata da gente senza scrupoli, ignara dell’importanza della millenaria storia custodita da quello stupendo intreccio di alberi e biodiversità».
L’assalto a ciò che resta del bosco di Monteferraro – poco più di 6 ettari rispetto all’iniziale superficie di 300 ettari – è proseguito anche in tempi recenti: a marzo 2021, di fronte all’ennesima trasformazione per far posto a un tendone di uva, alcune associazioni ambientaliste conversanesi hanno presentato alla Procura della Repubblica una denuncia circostanziata in merito al mancato rispetto delle norme di salvaguardia, in primis della cosiddetta “fascia di rispetto” che si estende lungo tutto il perimetro (per 100 metri, dal confine del bosco verso l’esterno).
Una denuncia che pare non esser caduta nel vuoto, giacché nella giornata di sabato 30 ottobre, gli uomini della Guardia di Finanza della Compagnia di Monopoli, guidati dal Comandante Gennari, hanno sottoposto a sequestro penale il vigneto segnalato dagli ambientalisti conversanesi. I sigilli sono stati apposti su entrambi i versanti del tendone, quello che costeggia l’antico tratturo che conduce alla masseria De Bellis e quello che lambisce i due magnifici esemplari di cipressi, per cui de Carolis ha attivato la procedura di segnalazione all’ufficio regionale preposto, affinché vengano inseriti nell’elenco degli alberi monumentali pugliesi e sottoposti alle relative tutele.
Dalle prime indicazioni raccolte, il sequestro è scattato in relazione alla violazione di quanto statuito dall’articolo 181 (comma 1 e 1-bis lettera a) del Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto Legislativo 42/2004): “Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici è punito con le pene previste dall’articolo 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47”. In sostanza, gli inquirenti hanno contestato l’ipotesi di un abuso paesaggistico, punibile con una sanzione amministrativa (da 5.164 a 51.645 euro) e con l’arresto fino a due anni, a seconda della tipologia dell’intervento illegittimo realizzato. Chiaramente, spetterà alla magistratura approfondire l’intera vicenda e venire a capo delle eventuali responsabilità.