Kiev sia “città aperta”: tacciano le armi

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Appello di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, perché nella capitale ucraina si cessi la violenza e perché non si violi una città “a cui oggi guarda l’umanità intera”.

Si proclami Kiev “città aperta” e ci si astenga dall’uso delle armi. L’appello di Andrea Riccardi, che invoca un immediato cessate il fuoco nella capitale ucraina, lanciato tre giorni fa, continua a raccogliere adesioni. Il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, nel suo manifesto, chiede di “non colpire gli abitanti con la violenza delle armi, di non violare una città a cui oggi guarda l’umanità intera”, e che si riprenda inoltre un percorso negoziale per arrivare alla pace. Kiev, si legge, “capitale di tre milioni di abitanti, in Europa, è oggi un campo di battaglia. La popolazione civile, inerme, vive in una condizione di pericolo, terrore, mentre trova riparo nei rifugi sotterranei. I più deboli, dagli anziani ai bambini, ai senza dimora, sono ancora più esposti. Ci sono già le prime vittime civili”. 

Kiev, città santuario per i cristiani

Riccardi ricorda l’importanza di Kiev anche perché “grande patrimonio culturale”, senza la quale non si potrebbe pensare “alla cultura europea, alla storia dell’Europa”, come non si potrebbe pensare “alla cultura russa, alla storia della Russia”. La città, tra tanti monumenti, ospita siti che sono patrimonio dell’umanità. Kiev è anche una “città santuario per tanti cristiani”, per i cristiani ortodossi di tutto il mondo, perché è in questa città che “ha avuto inizio la storia di fede dei popoli ucraino, bielorusso, russo”. Ed è a Kiev che “è nato il monachesimo ucraino e russo. Il grande monastero della lavra delle grotte che sulla collina sovrasta il grande fiume Dnepr è un luogo santo di pellegrinaggio e preghiera millenario”. Kiev, ricorda ancora Riccardi, “è una città preziosa per tutto il mondo cristiano”.

Il pensiero a Sarajevo e Aleppo

A chiunque guardi “con passione e coinvolgimento alla città e alla sua gente”, non può dunque lasciare indifferente il destino di Kiev. Il ricordo corre a Sarajevo e ad Aleppo, perché non si può assistere“ nuovamente all’assedio di una grande città”. “Gli abitanti di Kiev – è la conclusione dell’appello – chiedono un sussulto di umanità. Il suo patrimonio culturale non può essere esposto al rischio di distruzione. La santità di Kiev per il mondo cristiano esige rispetto”.

Un sacerdote celebra la messa in un bunker nella città di Vyšhorod, alle porte di Kiev

Kiev, un salesiano sotto le bombe: ”La Chiesa è vicina a chi soffre”

Il racconto di Maksym Ryabukha, direttore della casa salesiana Maria Ausiliatrice, alle porte della capitale ucraina, mette in evidenza il dolore di una popolazione stremata dai bombardamenti: “Dopo il coprifuoco di due giorni, oggi file interminabili per accaparrarsi ogni bene di prima necessità. La gente ha paura ma resiste”. La storia di un sacerdote che celebra la messa in un bunker diventa segno di speranza.

Dopo due giorni interi di coprifuoco- sabato e domenica scorsi- don Maksym Ryabukha, direttore della casa salesiana Maria Ausiliatrice situata alla periferia est di Kiev, questa mattina è uscito presto. Nelle vie della capitale ucraina, rese spettrali dalla furia dei bombardamenti, ha incontrato centinaia di persone che si sono riversate in strada con la speranza di poter portare a casa un tozzo di pane, un po’ di latte, qualche bottiglia d’acqua: il necessario per sopravvivere rintanati nei sotterranei, nei bunker eredità della guerra fredda, nei parcheggi interrati riadattati a nascondigli di fortuna.

Cibo ed acqua difficili da trovare

“Ho visto file lunghissime di gente che tenta di fare rifornimento di qualsiasi genere, perché non si sa cosa accadrà nelle prossime ore” riporta ai media vaticani don Ryabukha. “Si deve fare presto: alle 22 di questa sera non si potrà di nuovo circolare e domani mattina alle 7, quando si potrà tornare ad uscire, non è detto che si trovi ancora qualcosa da mangiare” spiega, preoccupato, il sacerdote.

Bombardamenti senza fine

La notte scorsa non ha fatto eccezione: il bombardamento su Kiev è continuato, martellante. “Anche se – dice don Ryabukha – è stato meno intenso delle altre volte. Alle 2.45, nel centro del capoluogo regionale di Chernihiv, è stato colpito un grattacielo di case popolari, fortunatamente non ci sono state vittime. Le situazioni più difficili, ora, sono in tre zone di Kiev: nei piccoli paesi a nord-ovest, nella parte sud e nella cittadina di  Kharkiv. Comunque, ormai, la gente si è abituata a dormire sempre nei rifugi”. 

L’Eucarestia in un bunker

La storia di un sacerdote che, nella città di Vyšhorod, a meno di 20 km da Kiev, celebra le messe in un bunker alla luce di una lampadina, è il segno tangibile, emblematico, che la Chiesa greco-cattolica non ha abbandonato i suoi fedeli e la popolazione. Ed è diventato anche simbolo di speranza. “Questo prete – racconta don Ryabukha- anche domenica scorsa si è riunito sotto la sua casa con un po’ di persone e ha celebrato l’Eucaristia, nonostante infuriasse la battaglia”.

Mai cancellata una celebrazione

Da quando è iniziata questa guerra, ricorda il salesiano, “non abbiamo mai smesso di celebrare le messe. Le trasmettiamo anche online, tramite i social. Ma non abbiamo mai smesso neanche di andare a fare visita alle famiglie, di stare accanto ai profughi. Ogni sacerdote, nelle proprie parrocchie, cerca di gestire, come può, l’aiuto concreto alle persone”.

Federico Piana-Città del Vaticano

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