Proseguono i negoziati sull’Ucraina

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Sul tavolo negoziale si continua a trattare la tregua tra Russia e Ucraina, mentre l’assedio prosegue, con le forze russe alle porte della città di Kherson, a nord della Crimea. Una colonna di mezzi militari russi si sta avvicinando sempre più alla capitale Kiev. Il dramma dei profughi.

Sessanta chilometri di blindati, tank, pezzi di artiglieria e veicoli logistici russi in marcia verso una Kiev sempre più accerchiata, e bombardata, come la base militare lungo la strada di Brovay, a 25 chilometri dalla capitale, obiettivo di un attacco aereo la notte scorsa e che è ancora in fiamme, con un imprecisato numero di vittime.

Colloqui difficili

La tregua è sul tavolo, dopo il primo round di negoziati tra mosca e Kiev, avviati ieri, che hanno visto Putin mettere in chiaro le richieste, riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea, e neutralità di Kiev, il cui ingresso nell’unione europea, chiesto fortemente dal presidente ucraino Zelensky arriva oggi in plenaria del parlamento europeo dove si voterà una risoluzione per lo status di candidata all’ingresso nell’Ue dell’Ucraina.  Mentre si aspetta un altro round di trattative, l’Europa chiude il suo spazio aereo alla Russia, Mosca fa lo stesso con 36 paesi tra cui l’Italia e gli osservatori dell’Osce, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, lasceranno oggi Donetsk controllata dai separatisti.

Nuove sanzioni a Mosca

Da Bruxelles e Washington in arrivo altre misure contro Mosca. Gli Stati Uniti inaspriranno le sanzioni economiche e invieranno a Kiev più armi. L’Unione Europea annuncia blocchi contro altri 26 oligarchi russi: tra questi, il portavoce del Cremlino Peskov. Anche la Svizzera si associa alle prese di posizione europee. Nel frattempo, colpi duri anche dallo sport: San Pietroburgo non ospiterà la finale di calcio della Champions League, traferita a Parigi. Ieri la Fifa ha deciso che la nazionale russa giocherà in campo neutro, con un nuovo nome, senza inno e bandiera.

In fuga dalla guerra

Mentre si inasprisce la pressione militare sull’Ucraina, il flusso dei profughi è continuo. In autobus, in treno, in auto. Spesso a piedi per chilometri affrontando il freddo, con i bambini più piccoli in braccio e bagagli messi su in fretta. La grande fuga è un fiume in piena: in 500 mila hanno già attraversato il confine, secondo l’Unhcr, Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. In Polonia soprattutto, e poi in Ungheria, Moldavia, Romania, Slovacchia. Anche la Serbia è pronta ad accogliere mettendo a disposizione 6 mila posti. A scappare sono circa 100 mila al giorno: “Potrebbe diventare la peggiore crisi umanitaria in Europa negli ultimi decenni”, dice Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu. Giovedì a Bruxelles i ministri dell’Interno dell’Unione daranno via libera alla protezione temporanea dei migranti: un visto di un anno, che renderà a tutti gli effetti gli ucraini in fuga dalla guerra soggiornanti regolari nell’Unione Europea. La direttiva introduce un sistema di distribuzione su base volontaria: saranno i profughi a scegliere in quale Paese andare. Potranno lavorare, avere l’assistenza sanitaria, frequentare scuole e corsi di formazione. L’Italia ha aumentato di 10 milioni la dotazione del Fondo per le emergenze e ha organizzato 13 mila posti nei Centri di accoglienza straordinaria e altri 3 mila nel Sistema di accoglienza e integrazione.

Francesca Sabatinelli e Antonella Palermo – Città del Vaticano

Come raccontare la guerra ai bambini

Si può partire dalla parola guerra? Come spiegarla ai bambini? E cosa fare se il piccolo manifesta ansia o tristezza dopo il racconto? A queste ed altre domande risponde lo psicologo Ezio Aceti.

Ci sono domande che non conoscono risposte, ma anche interrogativi dinanzi ai quali non si può restare in silenzio. Il tentativo di comunicare è naturale e nobile, fa parte dell’essenza di ogni persona. Essere umano, dunque, vuol dire essere anche linguaggio, parole, dialogo. Significa non ignorare i dubbi, conoscere le cause, non dimenticare la storia. Quando però sono le creature più piccole a sentir parlare di una tragedia indicibile quale la guerra, saper intervenire puntualmente, raccontare nel modo giusto, diventa un fattore imprescindibile. Come spiegare, dunque, ai bambini cos’è la guerra? Come farlo con particolare riferimento al conflitto in corso in Ucraina? Lo spiega lo psicologo Ezio Aceti, fondatore dell’associazione Parvus, che si occupa di terapie infantili e supporto alla genitorialità:

Iniziamo dalla parola guerra. Va usata? Come deve essere spiegata ai bambini? Dicendo che è il contrario della pace o qualcosa di più?

La parola guerra suscita due emozioni che le persone possono capire: la paura e la tristezza, fino ad arrivare all’angoscia. Quando usiamo la parola guerra, dobbiamo accompagnarla sempre a queste emozioni, che i bambini capiscono perché le hanno provate. Dunque va detta, purché accompagnata a queste emozioni.

Qual è in questi casi lo scopo del parlare? Bisogna prepararsi attentantemente prima di farlo con i più piccoli?

Certamente! Noi usiamo la parola, gli animali no. Dunque la parola è lo strumento che noi abbiamo per dare senso al vivere. Anche nel Vangelo di Giovanni c’è scritto che Gesù è il Verbo. La parola può fare il bene, ma anche generare guerre. Lo scopo del parlare è suscitare una presa di coscienza, aiutarci a portare insieme questa sofferenza, addirittura riuscire ad organizzare azioni che diano risposte di bene al male. Lo scopo è anche far pregare la gente. La parola posso usarla con i suoni, con gli scritti, ci sono vari modi, ma quale dev’essere il contenuto? Devo sempre rispettare il mio interlocutore, ma ciò che conta davvero è che la parola contenga sempre tre concetti. Se imparassimo ad usarli, mi creda, potremmo salvare il mondo. Sono gli stessi che Dio usa con noi. Il primo è l’empatia e corrisponde al Padre, che empatizza sempre con noi. Il secondo è la verità, la realtà che corrisponde al Figlio. Il terzo concetto è il sostegno, ovvero lo Spirito Santo che ci aiuta a trasformare il male in bene.

Se un genitore dovesse accorgersi che il figlio ha degli stati d’ansia, un cambiamento nel comportamento dopo il racconto della guerra, come deve agire?

Noi non possiamo pensare che i bambini vadano protetti su tutto, la migliore protezione è aiutarli a proteggersi da sé. Un grande gesuita, Michel de Certau, lo scorso secolo, diceva che in ogni essere umano c’è un terzo orecchio. Quello interiore, che ci parla dell’amore, della trascendenza, che ci dà la forza anche di gestire le emozioni. Può anche darsi che un bambino pianga, ma piangere fa parte dell’umano. Può essere triste, ma anche questo è umano. Naturalmente il papà e la mamma lo abbracceranno e subito dopo si metteranno a giocare con lui. Il bambino penserà che i genitori non gli hanno nascosto le cose vere, che anche la sofferenza può essere gestita. Amare un bambino è aiutarlo a vivere le cose vere, a gestirle, naturalmente con un linguaggio semplice. La miglior protezione è aiutare i nostri ragazzi a dare un senso, a gestire le frustrazioni, perché hanno questa capacità di farlo. Si trova dentro ciascuno. Dare dignità ai nostri piccoli vuol dire aiutarli ad entrare dentro di loro per tirare fuori il meglio. Proteggerli eccessivamente è sbagliato, come mandarli allo sbaraglio. Parlargli in modo corretto della sofferenza, aiutarli ad esprimerla, abbracciarli e dare un senso è la cosa più intelligente che possiamo fare.

Veniamo alle varie fasce d’età, partendo dai bambini che hanno già compiuto 10 anni, che iniziano a frequentare le scuole medie. Persone che non solo vedono il telegiornale, ma magari hanno il primo smartphone e sfogliano ogni tanto un quotidiano. Come spiegare loro la guerra?

Quello che comunichiamo deve essere vero, chiaro. Semplice. Già alle scuole medie c’è il pensiero astratto, si è molto sensibili agli istinti, alle emozioni, ad idealizzare. Possiamo dire loro che la guerra porta tanta tristezza e sofferenza. Anche se non riusciamo a spiegare tutti i motivi, va detto che c’è qualcuno che aggredisce un altro. Fino a qualche giorno prima le bombe non cadevano sui palazzi, oggi sì. Persone che muoiono, giovani che devono vivere una vita diversa. Dopo aver spiegato, è importante terminare con delle proposte che diano senso. Occorre seminare esperienze di pace, insegnando a trattare il prossimo per la pace. Si potrebbero organizzare incontri in cui parlare di questo, proporre raccolte di beni materiali, ma anche di dettati o poesie, di pensieri, o anche progettare giornate con lo scopo di esprimere questa vicinanza ai coetanei in guerra. Scatenare esperienze sociali. Si è mai chiesto perché Greta suscita reazioni di giovanissimi in tutto il mondo? Perché non ci sono i giovani di una volta, ma i “ragazzi mondo”, e noi adulti dobbiamo essere capaci di suscitare in loro le idee più belle, ma anche le più grandi partecipazioni alla sofferenza. Occorre però mettersi nei loro panni.

Invece con i bambini delle scuole elementari come dobbiamo comportarci?

Dai 6 ai 10 anni i bambini sono capaci di capire cosa accade all’esterno, all’altro, ma sono solo all’inizio di questo percorso. Occorre spiegare innanzitutto che c’è la guerra, che un Paese ha invaso un altro, questo porta sofferenze, anche a bambini che non possono più giocare tra di loro. Le persone non possono più fare quello che facevano prima. Una descrizione semplice, breve, ma efficace. Poi però dobbiamo dire loro, in modo molto semplice, che possono contribuire a costruire la pace. Educarli all’amicizia, che vuol dire educare alla pace. Dunque, saper chiedere scusa, comprendere le ragioni dell’altro. Saranno loro i costruttori di pace. Si può poi aprire il fronte della preghiera, pregare Dio per scuotere i cuori dei governanti, per arrivare al bene di tutti. Preghiere anche per i bambini. Infine, è possibile organizzare una piccola raccolta per i coetanei in difficoltà. Insomma, suscitare l’altruismo. Non prevale più l’io, ma l’altro. Chi sta soffrendo e ci porta a realizzare esperienze di pace.

Infine i più piccoli, che percepiscono qualcosa dalla televisione o magari ascoltando i genitori. Come comportarsi con chi ha tre, quattro o cinque anni?

Proprio per loro, io e la collega Stefania Cagliani abbiamo scritto una lettera. Per i bambini fino ai sei anni d’età. Non è detto che i genitori debbano leggerla tutta ai loro figli, ma posso garantire che ogni parola è scritta per i più piccoli. Prima di leggerla, mi permetta di ricordare le sei emozioni primarie, quelle che provano tutti i bambini, nessuno escluso. Sono la gioia e la tristezza, la rabbia e la paura, la meraviglia e il disgusto. In questo caso noi dobbiamo far leva sulla tristezza e la paura.

La lettera ai bambini 

Cari bambini,

oggi vi devo parlare di una cosa molto importante che sta succendo in un Paese lontano. Si chiama guerra. Quando le persone si fanno la guerra, usano le armi per farsi del male e a volte per far morire qualcuno. Alcune persone vengono ferite e devono andare all’ospedale. La guerra fa piangere. Le persone soffrono, le case vengono distrutte, così come le scuole e i parchi con i giochi. Quando c’è la guerra non si può andare per strada a giocare con gli amici, non si possono fare feste. La guerra fa molta paura. Quando si ha paura non si riesce più ad essere felici, a giocare e ad avere tanti amici.

Noi siamo in pace, per questo potete andare a scuola, giocare con gli amici e invitare i nonni a casa. Però voi bambini sapete che piangere e avere paura sono cose che non vi piace per nulla provare. Tanti bambini, dove c’è la guerra, hanno paura e piangono. Allora cosa possiamo fare insieme perché la guerra finisca? Perché nessuna persona al mondo, né oggi né mai, debba trovarsi a fronteggiare la guerra? Voi non potete fare nulla perché siete troppi piccoli? Non è così, non è così!

Caro bambino, tu puoi fare molto perché la guerra finisca e torni la pace. Tu puoi mostrare al mondo che essere amici, anche se si è diversi, è possibile. In classe hai un bambino con il colore della pelle diversa e per te è un tuo amico. Hai un altro che parla una lingua diversa, lo capisci poco, ma è tuo amico. Puoi dimostrare al mondo che andare d’accordo non vuol dire avere la stessa idea. Può darsi che un tuo compagno ha un’idea diversa e litigate, ma poi subito dopo fate la pace. Puoi fare la pace dicendo ad un compagno di non essere arrabbiati, perché altrimenti si diventa tristi. Facciamo subito la pace così siamo felici! Puoi anche intervenire se un compagno litiga con un altro e farlo ridere con una faccia buffa o una parola divertente.

Alla fine possiamo pregare Gesù e dire: “Caro Gesù, il mondo ha tanto bisogno di Te. Tu puoi cambiare il cuore duro degli uomini che stanno facendo la guerra in un cuore buono che porta la pace. Aiutami ad essere un bambino che porta la pace. Aiutami e aiuta tutti così, Gesù. Ti voglio bene”.

Andrea De Angelis – Città del Vaticano 

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