Soprattutto tra i giovani
Una percentuale elevata (il 46,9%) delle persone in unione civile o già in unione, omosessuali o bisessuali, ha subito almeno un evento discriminatorio a scuola/università, non necessariamente in relazione al proprio orientamento sessuale. Il fenomeno è più diffuso tra i giovani (il 61,6% dei 18-34enni), a conferma della delicata fase di formazione che precede l’inserimento nel mondo del lavoro e i possibili effetti che questa può avere sui successivi percorsi di studio e lavoro. Lo dice l’Istat, che in occasione della giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, propone alcuni risultati delle indagini finora condotte nell’ambito del progetto, tuttora in corso, svolto in collaborazione con Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), sul tema delle “Discriminazioni lavorative nei confronti delle persone Lgbt+ e le diversity policies attuate presso le imprese”.
Per quanto riguarda la discriminazione in fase di accesso al lavoro, una persona su tre dichiara di aver vissuto tale esperienza; invece, con riferimento allo svolgimento del proprio lavoro, il 34,5% dei dipendenti o ex-dipendenti dichiara di aver subito almeno un evento di discriminazione.
Infine, il 20,8% degli occupati o ex-occupati riporta almeno uno degli episodi di clima ostile, incluse aggressioni in ambito lavorativo che vengono indicate dall’1,1% dei rispondenti. Si tratta sempre di esperienze ascrivibili a una pluralità di caratteristiche, tra cui l’orientamento sessuale. L’identità di genere viene riportata, tra i motivi per i quali si ritiene di essere stati discriminati, da una quota molto contenuta di questo segmento di popolazione.
Coloro che hanno subito discriminazioni o episodi di clima ostile in ambito lavorativo ne parlano, generalmente in maniera informale con altre persone, mentre è meno diffuso il reporting di tali eventi a organi e figure preposte. Circa sei dei dipendenti o ex-dipendenti su 10 hanno parlato dell’ultimo evento di discriminazione accaduto con persone dell’ambiente lavorativo, più frequentemente con colleghi di pari grado (il 42,2%) e con datori di lavoro e superiori (il 24,4%), ma è soprattutto con familiari (60,8%) e amici (53,7%) che ci si confronta.
Il 10,5% ne ha parlato con le organizzazioni sindacali, il 6% con un avvocato/servizio di assistenza legale e l’1,4% con associazioni Lgbt+. La quota di chi si è rivolto ad altri organi è residuale (0,7% al comitato di pari opportunità o consigliere di fiducia, 0,3% alla consigliera di parità, 0,2% alle forze dell’ordine). Una situazione simile si osserva per gli eventi di clima ostile
LAVORO – Il 26% delle persone che si dichiarano omosessuali o bisessuali afferma che il proprio orientamento sessuale ha rappresentato uno svantaggio nel corso della vita lavorativa in almeno uno dei tre ambiti considerati (retribuzione, avanzamenti di carriera, riconoscimento delle capacità professionali). Il 12,6% non si è presentato a un colloquio di lavoro o non ha fatto domanda poiché pensava che l’ambiente lavorativo sarebbe stato ostile al suo orientamento sessuale. Questi dati sono riferibili solamente a una piccola parte della popolazione Lgbt+ (le persone in unione civile o già in unione), il segmento più propenso a vivere il proprio orientamento sessuale in una dimensione pubblica.
Nel complesso, il 17,4% di chi ha subito discriminazione nell’attuale/ultimo lavoro dipendente ha intrapreso una qualche azione (legale, di conciliazione sindacale, ne ha parlato con i responsabili, ha chiesto che venissero presi provvedimenti nei confronti dei responsabili, ha cambiato lavoro/ufficio/mansioni o altro tipo di azione). La percentuale sale leggermente tra chi ha vissuto invece un evento di “clima ostile” in ambito lavorativo, riguardando una persona su quattro.
Più in generale, oltre il 68,2% afferma di aver evitato di tenersi per mano in pubblico con un partner dello stesso sesso per paura di essere aggredito, minacciato o molestato; tale evidenza mostra la netta percezione di vivere in un contesto sfavorevole; per lo stesso motivo il 52,7% ha evitato di esprimere il proprio orientamento sessuale. Relativamente agli ultimi tre anni ed escludendo episodi avvenuti in ambito lavorativo, il 3,1% delle persone in unione civile o già in unione che vivono abitualmente in Italia e si sono definite omosessuali o bisessuali, ha affermato di aver subito aggressioni a causa dell’orientamento sessuale; per lo stesso motivo il 3,9% ha ricevuto minacce. Le offese legate all’orientamento sessuale ricevute via web sono invece segnalate dal 13% degli intervistati.
Tali dati, si ricorda, non possono essere considerati rappresentativi dell’intera popolazione Lgbt+, ma di una piccola parte che ha voluto unirsi civilmente e che si caratterizza per un’elevata visibilità rispetto al proprio orientamento sessuale.
Adnkronos