Giovanni Falcone, 30 anni fa la strage di Capaci

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Sono passati 30 anni da quel 23 maggio 1992 quando a Capaci, sulla strada del ritorno da Roma, il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro vengono uccisi dalla mafia in un attentato che segnerà per sempre la storia del Paese. Alle 17:58, al passaggio con la scorta per Capaci, 1000 kg di tritolo sistemati all’interno di fustini in un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada esplodono investendo in pieno il corteo di auto e uccidendo sul colpo gli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo. Un’ora e sette minuti dopo l’attentato, Giovanni Falcone muore dopo alcuni disperati tentativi di rianimazione. Francesca Morvillo, sua moglie, morirà verso le 22:00.

Sono tantissime le iniziative organizzate in occasione del 30esimo anniversario della strage. Dalle 10 alle 11.30 sul palco speciale allestito al Foro Italico di Palermo si alterneranno il capo dello Stato Sergio Mattarella, la presidente della Fondazione Falcone Maria Falcone, esponenti delle istituzioni come i ministri dell’Istruzione Patrizio Bianchi, dell’Interno Luciana Lamorgese, della Giustizia Marta Cartabia, dell’Università Maria Cristina Messa, degli Esteri Luigi Di Maio e il capo della Polizia Lamberto Giannini, il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, il procuratore di Roma Francesco Lo Voi.

Fiammetta Borsellino

“Ricordare vuol dire riappropriarsi delle testimonianze di vita di determinati uomini affinché diventino patrimonio di tutti noi, lo dico sempre ai ragazzi perché costituiscano un faro per il nostro avvenire. Solo così la vita può avere una prevalenza sulla morte. Ricordare non può essere una mera celebrazione, non può essere una santificazione perenne, quando ciò accade diventa retorica, un oppio, e svia dai problemi. La memoria non può essere disgiunta dalla ricerca verità. In questi anni abbiamo assistito a tantissime celebrazioni ma il diritto alla verità su queste terribili vicende, che io definisco una ferita collettiva, non individuale, è stato totalmente calpestato attraverso percorsi voluti e depistaggi”. Ad affermarlo è Fiammetta Borsellino ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa su Rai3.

La verità disattesa, rileva, “parte innanzitutto in quei 57 giorni che intercorrono tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio. Lì inizia il depistaggio perché a mio padre fu impedito di riferire quello che stava facendo anche in riferimento a delle indagini sulla morte di Falcone. Lui chiese alla Procura di Caltanissetta di essere sentito ma non lo vollero mai ascoltare, tant’è che al famoso discorso alla Biblioteca Comunale di giugno in un atto di disperazione si mise in pericolo dicendo di sapere ma che avrebbe riferito solamente alle autorità giudiziarie. Fu gettato in una solitudine assoluta, che poi è l’origine della maggiore esposizione al pericolo: tutti coloro che sono morti in quegli anni, sono morti sicuramente per mano mafiosa ma principalmente perché lo Stato italiano non è stato in grado di difendere i suoi uomini migliori”.

Il depistaggio continua, aggiunge, “nei minuti successivi alla strage di via D’Amelio, quando non viene attuata nessuna forma di tutela per quel luogo, tanto da permettere alla “mandria di bufali” di cancellare qualsiasi prova, grazie anche al comportamento inadeguato di addetti ai lavori che maneggiarono la borsa senza accertarsi del contenuto e della persona a cui andava consegnata. Dopo di questo abbiamo una serie di indagini e processi condotti violando le norme del codice, in quegli anni duranti i processi non furono fatte verbalizzazioni di sopralluoghi importantissimi da cui si poteva immediatamente evincere l’inattendibilità del falso pentito Scarantino, il “pupo” scelto per auto-accusarsi di questa strage nonostante le evidenze che fosse assolutamente inattendibili”.

Mattarella ricorda Falcone: “Niente pause né distrazioni contro la mafia”

“Nel 1992 Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono colpiti perché, con la loro professionalità e determinazione, avevano inferto colpi durissimi alla mafia”, che “li temeva perché avevano dimostrato che non era imbattibile, che lo Stato era in grado di sconfiggerla attraverso la forza del diritto”. Per questo “onorare oggi la memoria” dei due magistrati “vuol dire rinnovare l’impegno contro la criminalità” che “non consente pause né distrazioni”. Lo ha affermato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, parlando a Palermo in occasione della commemorazione del trentesimo anniversario dell’attentato a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i componenti della scorta.

Falcone, ha ricordato il Capo dello Stato, “agiva non in spregio del pericolo o alla ricerca di forme ostentate di eroismo bensì nella consapevolezza che l’unico percorso possibile fosse quello che offre il tenace perseguimento della legalità, attraverso cui si realizza il riscatto morale della società civile”. Per questo “non si abbandonò mai alla rassegnazione o all’indifferenza ma si fece guidare senza timore dalla ‘visione’ che la sua Sicilia e l’intero nostro Paese si sarebbero liberati dalla proterva presenza della criminalità mafiosa. Questa ‘visione’ gli conferiva la determinazione per perseguire con decisione le forme subdole e spietate attraverso le quali si manifesta l’illegalità mafiosa”.

Quella stessa visione, ha ricordato Mattarella, che ci deve guidare nell'”affrontare con la stessa lucidità le prove dell’oggi, perché a prevalere sia –ovunque, in ogni dimensione- la causa della giustizia; al servizio della libertà e della democrazia”. Il Capo dello Stato ha fatto esplicito riferimento alla guerra in Ucraina, perchè “il ripristino degli ordinamenti internazionali, anche in questo caso, è fare giustizia. Porre cioè la vita e la dignità delle persone al centro dell’azione della comunità internazionale”.

Non sempre, ha lamentato il Capo dello Stato ripercorrendo la vita e l’operato di Falcone, le sue “visioni d’avanguardia, lucidamente ‘profetiche, furono sempre comprese; anzi in taluni casi vennero osteggiate anche da atteggiamenti diffusi nella stessa magistratura, che col tempo, superando errori, ha saputo farne patrimonio comune e valorizzarle. Anche l’ordinamento giudiziario è stato modificato per attribuire un maggior rilievo alle obiettive qualità professionali del magistrato rispetto al criterio della mera anzianità, non idoneo a rispondere alle esigenze dell’Ordine giudiziario”.

Ma dalla drammatica fine di Falcone e Borsellino, è stata l’ulteriore esortazione di Mattarella, occorre trarre anche un altro “importante insegnamento per il futuro: evitare di adottare le misure necessarie soltanto quando si presentano condizioni di emergenza. È compito delle Istituzioni -di tutte le Istituzioni- prevedere e agire per tempo, senza dover attendere il verificarsi di eventi drammatici per essere costretti a intervenire”. (di Sergio Amici)

Falcone, 30 anni strage Capaci. Salvini: “Mafiosi sono str… , gli vanno tolte pure mutande”

“Oggi è l’anniversario delle stragi di mafia di Capaci, che hanno seminato sangue, morte e disperazione, ma che hanno lasciato un seme nelle nuove generazioni”. Così Matteo Salvini, parlando in campagna elettorale a Segato, ricorda la strage in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e la scorta, nel ’92. “Vanno portate via anche le mutande a questi stronzi che hanno pensato di mettere l’Italia sotto i loro tacchi, e da nord a sud, meritano solo disprezzo e sequestri”.

“Io ricordo con orgoglio quando ho dato il primo colpo di ruspa alla villa dei Casamonica sequestrata”, ai mafiosi “va sequestrato tutto il possibile”, dice Salvini: “La mafia va combattuta sempre, ovunque e comunque”.

Nardulli (ex Avanguardia): “Report divulga documenti secretati archivio Delle Chiaie”

“C’è una fuga di notizie gravissima. Report ha divulgato documenti secretati, documenti di un archivio, quello di Avanguardia Nazionale, per il quale sono imputato e di cui sono l’unico proprietario e detentore. Parliamo di trentaquattro scatoloni di verbali, di cui abbiamo copia io e il mio avvocato, la Digos e il pm. Qualcuno li ha passati a Ranucci, che a questo punto ne dovrà rispondere”. Vincenzo Nardulli, ex esponente di spicco di Avanguardia Nazionale, commenta con queste parole all’Adnkronos quanto sostenuto nella puntata di Report di ieri sera “La Bestia Nera”, la destra eversiva sovrapposta dalla trasmissione di Sigfrido Ranucci alla mafia, e parte attiva, secondo l’inchiesta, nell’attentato di Capaci nel quale perse la vita, 30 anni fa, il giudice Giovanni Falcone.

“Stamattina sono stato alla Digos volontariamente – dice Nardulli – il mio avvocato ha fatto una nota al procuratore di Caltanissetta, lo stesso che ha fatto eseguire delle perquisizioni. Sui verbali che qualcuno ha fatto avere a Report, la trasmissione ha costruito tutto un teorema che parte dalle dichiarazioni di due pentiti dichiarati inaffidabili dalla Procura e che comunque non hanno fatto il nome di Delle Chiaie, fatto invece dal conduttore del programma. Lo stesso giornalista ha fatto un accrocchio di situazioni, mettendo in mezzo Bellini (condannato recentemente per la strage di Bologna, ndr) e definendolo di Avanguardia Nazionale pur se non lo è mai stato”.

“Quando ho visto la puntata sono rimasto sconcertato, allibito. Stiamo parlando di documenti secretati perché sotto indagine – ribadisce Nardulli – stiamo provvedendo ad adire le vie legali e a giorni sentiremo qualcosa di nuovo. D’altronde non è una cosa che può passare inosservata, è una cosa gravissima. Tutto quello che uno dice lo deve supportare da prove, da fatti: il problema adesso non è nostro, ma di Ranucci che deve dire su quali basi ha fatto il nome di Delle Chiaie e come ha fatto a ricevere questi documenti secretati che non potevano e non possono essere divulgati”.

(di Silvia Mancinelli)

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