Referendum flop, crolla l’affluenza

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Lega e Radicali italiani attaccano: “Troppi silenzi”. Berlusconi: “Boicottato il voto”. Cappato: “Reclamo alla Consulta”. Serracchiani: “Promotori bocciati dai propri elettori”.

Chi dà la colpa ai “troppi silenzi” di media e politici; chi se la prende con la Corte Costituzionale che “ha impedito di votare su eutanasia e cannabis” (quesiti che molti ritengono avrebbero cambiato l’esito dei referendum e portato altri numeri); poi c’è la questione della disaffezione dell’elettorato, argomento che nelle ultime tornate elettorali ha sempre più dominato il dibattito post voto e stavolta deflagra. Perché numeri come quello dell’affluenza raggiunta oggi, quando alle 19 solo il 14, 84% degli aventi diritto è andato a votare, hanno un peso che per la politica sta diventando insostenibile. E allora chiuse le urne cominciano i processi alle intenzioni e la caccia alle (altrui) responsabilità per il quorum non raggiunto. “La Lega ringrazia i milioni di italiani che hanno votato o voteranno nonostante un solo giorno con le urne aperte, il silenzio di troppi media e politici, il weekend estivo e il vergognoso caos seggi visto per esempio a Palermo”, commentano già nel tardo pomeriggio (ancora prima dei dati definitivi) fonti leghiste. Un’accusa condivisa da Silvio Berlusconi, secondo cui i referendum sulla giustizia “sono stati boicottati con il voto in un giorno solo. Sono stati boicottati con il silenzio assoluto su molti giornali e sulla televisione di Stato”. Il tutto. ha sostenuto, il leader di Fi a urne aperte, sarebbe in linea con “una volontà precisa di mantenere le cose come stanno e gli italiani che non vanno a votare e se ne stanno a casa. Siamo dei masochisti”. Tocca poi a Calderoli, in conferenza stampa (in via Bellerio, a Milano) commentare la disfatta: “Secondo me c’è stato un complotto perché questo quorum non potesse essere raggiunto” dice il vice presidente leghista del Senato. “Ringrazio i 10 milioni di cittadini che hanno partecipato con un sì o con un no ma che hanno dato attuazione al diritto di voto. C’è stata una certa responsabilità anche dal governo che ha spinto per approvare la riforma Cartabia già a maggio”. E aggiunge:  “Ho personalmente scritto al presidente della Repubblica e del Consiglio e non ho ancora ricevuto, a oggi, una telefonata o un whatsapp”.   Insomma, “da Draghi e Mattarella mi sarei aspettato una maggiore attenzione e gli effetti si sono verificati”.

Ma a segnare la giornata, ancor prima del dato dell’affluenza, è stato il caos seggi a Palermo, con almeno 50 sezioni in cui all’inizio dell’election day (urne aperte dalle 7 alle 23) mancavano i presidenti di seggio. Il leader della Lega Matteo Salvini, in mattinata, aveva espresso “preoccupazione e sconcerto” al capo dello Stato, Sergio Mattarella, per i disagi alle urne nel capoluogo siciliano sottolineando “il grave danno per la democrazia in una delle città più importanti d’Italia”. E poco prima, invece, si era sfogato così: “Pazzesco, a due ore dall’inizio del voto decine di seggi ancora chiusi, e in altri si può votare solo per il Comune ma non per i referendum. Il ministro Lamorgese, il presidente Draghi e il presidente Mattarella ritengono che tutto ciò sia normale?”. In serata, è intervenuta la titolare del Viminale, Luciana Lamorgese: “È gravissimo che a Palermo, senza alcun preavviso, un elevato numero di presidenti di seggio non si sia presentato per l’insediamento, ovvero abbia rinunciato all’incarico, ritardando l’avvio delle operazioni di voto. La Procura – ha aggiunto – valuterà gli eventuali profili di responsabilità conseguenti alle segnalazioni inviate dal Comune, competente per le procedure di insediamento dei seggi e di sostituzione dei presidenti”.

Ad annunciare invece un reclamo alla Consulta è Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e promotore della campagna Eutanasia legale: “Sono appena uscito dal seggio, dopo aver votato i referendum superstiti. Ho lasciato a verbale il ‘reclamo’ contro la Corte costituzionale, che ci ha impedito di votare su eutanasia e cannabis dichiarando inammissibili i referendum con motivazioni arbitrarie e incostituzionali”, ha scritto in un tweet.

Sui cinque quesiti Radicali e Lega si sono battuti per tutta la campagna referendaria, denunciando a più riprese il silenzio dei media. Ma facendo il confronto con il referendum del 7 aprile 2016 sulle trivelle, che ebbe una affluenza del 23,54% alle 19,  per poi non arrivare neanche al 33% a chiusura delle urne, è evidente che l’obiettivo dei promotori di introdurre una serie di cambiamenti in materia di Giustizia non è stato centrato. E i partiti, Lega in primis, nei prossimi giorni non potranno non tenerne conto.

Un flop temuto, benché atteso. In questo contesto, la Lega ha messo l’accento sulle difficoltà di una campagna elettorale “in solitaria” rispetto al resto del centrodestra, in particolare Fratelli d’Italia che da subito si è schierata con posizioni diverse sui cinque quesiti. Per il Carroccio il risultato referendario ha il sapore di una battuta d’arresto, che potrebbe pesare ulteriormente anche nei già complicati rapporti interni alla coalizione. In ogni caso, c’è comunque chi spera che il mancato raggiungimento del quorum non fermi l’iniziativa legislativa in corso in Parlamento. Anche nel centrosinistra – i cui leader oggi hanno mantenuto il silenzio fino a sera come ha scelto di fare anche il leader di Italia Viva Matteo Renzi – non mancheranno riflessioni. “Dobbiamo lavorare con ancora più determinazione per dare le giuste risposte su temi importanti e delicati”, ha commentato Andrea De Maria, deputato Pd e Segretario di Presidenza della Camera: “Risulta evidente l’errore di una iniziativa referendaria divisiva e inutile. Per quanto mi riguarda ho votato 5 no questa mattina. Non contro l’ esigenza di attuare riforme ma per affermare che non era il referendum lo strumento giusto, anche per quello che sarebbe stato l’esito di alcuni dei quesiti. Ora però il mancato raggiungimento del quorum non deve fermare l’ iniziativa legislativa in corso in Parlamento”. A urne chiuse interviene Debora Serracchiani, capogruppo Pd alla Camera: “I referendum sulla giustizia bocciati dagli elettori. Soprattutto da quelli dei partiti che li hanno promossi. Una così bassa affluenza, nonostante l’abbinamento col voto per i comuni, prova la complessità dei quesiti e l’uso strumentale dell’istituto referendario. Ora avanti in Parlamento per completare la riforma della giustizia che i cittadini attendono e che la Lega ha bloccato irresponsabilmente”. 

Di riforma dello strumento parlano i pentastellati: “A prescindere dal merito dei quesiti di oggi e di fronte al referendum col peggior tasso di affluenza della storia della Repubblica, un fatto è certo. Se si vuole vera democrazia, lo strumento del referendum va riformato – dice Giuseppe Brescia (M5S) presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera – introducendo il referendum propositivo e modificando il quorum. Il 12 giugno di 11 anni fa gli italiani votarono per quattro quesiti referendari che ci videro protagonisti nelle piazze. Sono stati gli ultimi referendum abrogativi a raggiungere il quorum, gli ultimi referendum nati per iniziativa popolare. Da lì in poi il referendum abrogativo è morto”.

Soddisfazione esprime il Comitato per il NO mediante il NON, soddisfatto “per aver contribuito a far respingere, dal maturo popolo italiano l’operazione furbetta e populista dei promotori dei referendum. Avevano promosso questi quesiti complessi e pasticciati”. Mentre il presidente di un altro comitato per il NO, Alfonso Gianni, sottolinea il “disinteresse  degli italiani nei confronti dei quesiti: alcuni, francamente  cervellotici, alcuni marginali, alcuni inutili perché saranno assorbiti dalla proposta di legge Cartabia”.

Intanto i costituzionalisti riflettono proprio sull’uso (e abuso) dello strumento referendario: “I primi dati forniti dal Viminale sui referendum riportano un’affluenza alle 19 dell’11.5%. A chiusura dei seggi si rischia di non arrivare nemmeno al 23% del 2009 che rappresenta il minimo nella storia italiana. Saremmo lontani anche dal 31% del 2016, ultimo referendum votato”, ha dichiarato Alfonso Celotto, Professore di Diritto costituzionale nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università “Roma Tre”. “Questa percentuale – ha proseguito il costituzionalista- risulta ben al di sotto della soglia fissata dall’art.75 della Costituzione per l’approvazione dei quesiti referendari ed è indice di una disaffezione dell’elettorato rispetto all’utilizzo dello strumento referendario in relazione a questioni particolarmente tecniche come oggi la regolamentazione della giustizia. In Italia, il referendum abrogativo è il principale strumento di democrazia diretta previsto dalla Costituzione. Gradualmente, tuttavia, ha assunto sempre di più un ruolo suppletivo finendo per svolgere una funzione di sollecitazione di fronte all’inerzia legislativa del Parlamento. In tal senso, l’affluenza registrata oggi è un dato che appare in linea con l’alto livello di astensionismo presente nel nostro Paese, pari almeno al 30%”.

Con una chiosa: “Come evidenziato dal Presidente della Repubblica Mattarella nel discorso di insediamento – conclude Celotto – appare evidente la necessità di avviare un profondo processo riformatore che deve interessare sia il referendum nella sua essenza, sia il versante della giustizia, al fine di sanare le maggiori criticità attualmente esistenti. Un monito che chiama in causa le singole forze politiche in vista dell’imminente voto finale al Senato sulla riforma Cartabia previsto per mercoledì 15 giugno”.

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