‘Più spazio a Totti che a depistaggio strage’

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Borsellino: legale figli, ‘paese dedica più spazio a separazione Totti che a depistaggio strage’

“La famiglia Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta, a questo punto, ha il sacrosanto diritto di elaborare questo lutto, dopo 30 anni”. A dirlo all’Adnkronos è l’avvocato Fabio Trizzino, legale di parte civile della famiglia Borsellino nel processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Trizzino, che è anche il marito di Lucia Borsellino, parla a distanza di 12 ore dalla sentenza di primo grado emessa ieri sera dal Tribunale di Caltanissetta. Reato prescritto per due dei tre imputati poliziotti, Mario Bo e Fabrizio Mattei, e una assoluzione, per Michele Ribaudo. “Questa sentenza interpella, a mio giudizio, la collettività e l’opinone pubblica – dice – io mi rendo conto che questo è un paese anestetizzato che dedica più spazio alla separazione di Totti piuttosto che al depistaggio di via D’Amelio, però la collettività deve essere informata e deve cominciare a pretendere comportanti diversi e soprattutto la verità”. “Che non sarà più processuale – dice -ma la verità storica che non ha più i vincoli e condizionamenti delle regole del processo, che vanno sempre rispettate. La verità storica si pone al di fuori di ogni alto condizionamento”. 

“Comunque, noi guarderemo con favore alle altre iniziative di tipo processuale che si vorranno mettere in campo ma dobbiamo essere chiari – spiega ancora l’avvocato Trizzino all’Adnkronos – l’esercizio della potestà punitiva deve avvenire in tempo congruo, ogni altri iniziativa rischia di divenire una occasione per non consentire alla famiglia di elaborare questo lutto. Noi questo diritto lo abbiamo”. “La sentenza di ieri che a caldo ho definito minimalista ha una sua grande importanza – aggiunge poi Trizzino – perché viene riconosciuta la calunnia in quanto commessa da Bo e Mattei, questo è un lato fondamentale. La calunnia, benché prescritta – i processi fatti dopo 28 anni portano a questo – commessa in concorso con Scarantino e Andriotta, consolida lo scenario descritto nella sentenza del processo Borsellino quater. Quindi, il depistaggio c’è stato e semplicemente il ritardo nell’esercizio della giurisdizione che ha determinato le relative conseguenze penali”. 

“Sotto il profilo morale e delle conseguenze risarcitorie e civili lo Stato, se questo verdetto resisterò fino in cassazione, dovrà rendere conto di questo importantissimo sviamento dal percorso di verità processuale che è stato compiuto da uomini dello Stato che hanno abusato della propria funzione e disatteso il giuramento di fedeltà alla Costituzione e che è avvenuto non nell’ambito di un furto di motorino ma di una delle più gravi stragi della storia repubblicana in cui ha perso la vita uno dei più importanti servitori dello Stato con i suoi angeli custodi”, dice ancora l’avvocato Fabio Trizzino.  

“Quindi, rifuggiamo da qualunque approccio entusiastico rispetto alla prescrizione, perché il dato che rimane è che la calunnia e il depistaggio è stato compiuto, mi aspetto delle motivazioni e che si sia dato ampio risalto al convitato di pietra del processo Arnaldo La Barbera, dal momento che la responsabilità ascritta a Bo e Mattei si appalesano come esercizio di ordini provenienti da colui che si può considerare il vero dominus del depistaggio, il capo della mobile di allora nonché poi questore di Palermo Arnaldo La Barbera”. (di Elvira Terranova) 

Salvatore Borsellino: “Agenda rossa è scatola nera strage via d’Amelio”

“Io ho 80 anni e un’aspettativa di vita breve, non mi aspetto più di poter vedere la verità sulle stragi. Per arrivarci, però, bisognerebbe indagare sulla sparizione dell’agenda rossa: è la scatola nera della strage, eppure su quella sparizione non sono mai state condotte vere indagini. Se si arrivasse a chi ha sottratto l’agenda rossa dalla borsa di Paolo si arriverebbe agli assassini di mio fratello”. A dirlo all’Adnkronos è Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, il magistrato ucciso 30 anni fa nella strage di via d’Amelio insieme agli agenti di scorta, all’indomani della sentenza del tribunale di Caltanissetta nel processo sul depistaggio delle indagini di quell’eccidio.  

“Paolo prima di morire diceva: ‘Quando mi uccideranno, sarà la stata la mafia a farlo, ma saranno stati altri a volerlo’ – ricorda adesso il fratello -. Oggi forse c’è stata una parziale giustizia su quelli che hanno materialmente ucciso Paolo, anche se restano tanti punti oscuri, ma nessuno delle ‘menti raffinatissime’ che hanno voluto la sua morte è stato neppure indagato. Siamo stati noi del movimento delle Agende rosse a mettere insieme tutti gli spezzoni di pellicole girati in via d’Amelio il 19 luglio e identificare i movimenti delle persone presenti sul posto, a chi Arcangioli consegna la borsa dopo averla prelevata dalla macchina di Paolo”. Per arrivare alla verità sulle stragi servirebbero dei “pentiti di Stato che non ci saranno mai, perché a prendere quell’agenda sono stati pezzi dello Stato”. 

L’ultima sentenza di Caltanissetta si è conclusa con la prescrizione delle accuse per due dei tre poliziotti imputati. “La prescrizione sancisce la sconfitta della giustizia, significa che c’è voluto troppo tempo per portare avanti il processo. Ma le cose non possono che andare peggio – aggiunge -. Oggi addirittura non si parla più di prescrizione, ma improcedibilità. Lo Stato rinuncia a rendere giustizia a chi è vittima del reato e anche a chi è accusato e non potrà più né essere dichiarato colpevole né innocente. E’ la rinuncia dello Stato a essere uno Stato di diritto e questa è sicuramente una sconfitta”. (di Rossana Lo Castro)

L’appello del giudice Balsamo: “Da istituzioni ricerca verità”

Dice subito che preferisce non commentare la sentenza di ieri del processo sul depistaggio Borsellino “perché non è ancora definitiva”, e, comunque, vuole aspettare di leggere le motivazioni, ma Antonio Balsamo, l’ex Presidente della Corte d’assise di Caltanissetta che emise la sentenza del processo ‘Borsellino quater’ parlando di ” uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana” oggi si appella a tutte le istituzioni perché “si faccia un passo avanti nella ricerca della verità”. Antonio Balsamo oggi è il Presidente del Tribunale di Palermo, e prima ancora è stato il consigliere giuridico della Rappresentanza italiana all’Onu di Vienna. “La sensazione è che si è fatto molto per un accertamento completo della verità su questo episodio gravissimo della nostra storia che è la strage di Via D’Amelio, ma resta ancora molto da fare”, dice in una intervista esclusiva all’Adnkronos. “Credo che un modo fortemente significativo di rendere onore alla memoria di questi grandi italiani, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sia di farsi carico di un impegno di ricerca della verità senza compromessi da parte di tutte le istituzioni e dello Stato. E’ un compito che devono adempiere, non solo le istituzioni giudiziarie ma anche tutte le altre istituzioni. Abbiamo esempi importanti in passato, ricordo il lavoro straordinario fatto da Cesare Terranova nell’ambito della Commissione antimafia”.  

E aggiunge: “Se il diritto alla verità spetta non solo alle vittime e ai loro familiari, ma anche alla collettività, anche l’impegno di realizzare questo diritto deve fare capo a tutte le istituzioni, che oggi possono fare qualcosa di importante. Le indagini svolte, ad esempio, da commissioni parlamentari per loro natura non sono soggette a una serie di limiti che valgono invece per i processi penali. Questa è una prospettiva che si può percorrere con attenzione anche nei prossimi anni”. 

Poi, parlando della sua sentenza del processo ‘Borsellino quater’, confermata anche in Corte di Cassazione, ha spiegato: “Con la sentenza quater abbiamo ritenuto che ci sia stato un depistaggio, uno tra i più gravi della storia giudiziaria italiana. E che richiedeva un approfondimento di indagine per tre aspetti: il primo era quello della copertura di una fonte rimasta occulta da cui derivano quelle parti sicuramente vere che sono comuni alle dichiarazioni di finti collaboratori”.  

“Il secondo aspetto è quello del collegamento tra il depistaggio e la sparizione dell’agenda rossa. Una sottrazione che viene fatta mentre ancora in via D’Amelio c’è una vera e propria scena di guerra. Abbiamo ritenuto che l’ipotesi del collegamento vada verificata alla luce della identità di qualcuno dei protagonisti di entrambe le vicende, sulla base del fatto che la Barbera ha avuto un ruolo sia nella creazione di falsi collaboratori, sia nella vicenda relativa all’agenda rossa, come è evidenziato dall’atteggiamento di inaudita aggressività da lui tenuto contro Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre”. Balsamo si riferisce a quella volta in cui La Barbera, da capo della Squadra mobile, portò la borsa di Paolo Borsellino alla vedova, Agnese Piraino Leto, alla presenza di Lucia Borsellino, la figlia maggiore del giudice. E quando Lucia notò che nella borsa non c’era l’agenda rossa e chiese con forza che fine avesse fatto, La Barbera, per tutta risposta, affermò che non esisteva alcuna agenda rossa da restituire e arrivò a dire alla vedova che sua figlia necessitava di assistenza psicologica. 

“Il terzo aspetto che merita altrettanta attenzione è quello della eventuale finalità di occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage di via D’Amelio, nel quadro di una convergenza di interessi fra Cosa nostra e altri centri di potere – prosegue il giudice Balsamo – Su questo abbiamo ritenuto che vadano valutate con attenzione due prove che si sono acquisite nel dibattimento: una riguarda i cosiddetti ‘sondaggi’, le ‘tastate di polso’ di Cosa nostra prima di dare il via alla stagione delle stragi. Sondaggi fatti con personaggi importanti appartenenti al mondo economico e politico. Il collaboratore Antonino Giuffrè ha istituito un collegamento tra questa convergenza di interessi e il clima di isolamento in cui vivevano Borsellino e Falcone”.  

“Un isolamento che tutti ricordiamo, un attacco concentrico su Giovanni Falcone e un isolamento tangibile nei confronti di Paolo Borsellino”. Per Antonio Balsamo “un altro aspetto che abbiamo ritenuto rilevante e che merita attenta considerazione sono le confidenze fatte da Borsellino alla moglie Agnese il giorno prima di essere ucciso. Le disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, ma che sarebbero stati i suoi colleghi e altri soggetti a permettere che ciò potesse accadere”. Poi Antonio Balsamo ricorda anche tutte le “anomalie” emerse durante il processo Borsellino ‘quater’.  

“Ad esempio, che il giudice Borsellino non è stato sentito nel periodo che va dalla strage di Capaci a quella di via D’Amelio, neppure dopo che fece quel discorso commovente in biblioteca comunale e disse ‘Io oltre che magistrato sono testimone’. La strage interviene il giorno che precedeva l’inizio della settimana in cui Borsellino doveva essere sentito dalla Procura di Caltanissetta. Il fatto che non sia stata assunta nessuna iniziativa volta a creare una adeguata protezione nei pressi della casa della madre di Borsellino, nonostante questa carenza di una zona rimozione fosse stata più volte segnalata da parte del personale addetto alla tutela di Borsellino. Poi ci sono ulteriori anomalie date dal coinvolgimento nelle indagini sin dall’inizio dei servizi segreti, che il giorno dopo la strage vengono coinvolti in questa attività in modo irrituale. A questo si aggiunge, ad esempio, la presenza di alcune persone che arrivano in giacca e cravatta sul luogo della strage, persone di Roma, appartenenti ai servizi segreti, nella immediatezza della esplosione. Anche questo è un dato emerso per la prima volta nel processo Borsellino quater”. 

Sono trascorsi 30 anni, e ci sono stati 14 processi, ma i misteri su quanto accadde il 19 luglio del 1992 sono ancora tanti. Troppi. (di Elvira Terranova) 

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