Guarda avanti ma viene da lontano la determinazione del manager. La carriera tutta interna al gruppo, è entrato in Audi da apprendista nel 1994, e la decisione con cui ha assunto la guida di Volkswagen dal 1 settembre, rivoluzionando come primo atto il cda, sono la cornice della quotazione di Porsche che Blume da Ceo ha preparato da tempo.
La quotazione del marchio controllato da Volkswagen è la classica operazione controtendenza. Il mercato va male, la congiuntura è pessima e la scommessa diventa ancora più ambiziosa. Basta considerare il crollo delle Ipo nel 2022, con un contesto fatto di crisi energetica, dell’aumento dei tassi di interesse e dell’inflazione record che sconsiglia nuove quotazioni.
Volkswagen ha deciso di vendere le azioni a 82,50 euro (il minimo era 76,50), valutando la società 75 miliardi di euro, la più grande offerta pubblica iniziale europea dal 2011, quella di Enel, e dal 1996 in Germania, quella di Telekom). La raccolta sul mercato, con una chiara indicazione della volontà di investire sul futuro, andrà per il 49% a un dividendo speciale per gli azionisti e per il 51% a sostegno del programma di elettrificazione di Volkswagen.
La risposta del mercato sembra dare ragione ai vertici del marchio di Stoccarda, ormai pienamente integrato nelle strategie della casa madre di Wolfsburg. Il pieno di ordini, ne sono arrivati da 650 investitori ma solo la metà sono rientrati nell’offerta, dimostra che l’operazione viene letta con grande interesse.
L’Ipo posiziona Porsche come un marchio di lusso, al pari di Ferrari. L’obiettivo non dichiarato è proprio quello di colmare il gap con il cavallino rampante nella corsa tra costruttori di auto iconiche. I volumi di vendita e i prezzi medi sono ancora sensibilmente diversi ma ora anche in casa Ferrari la valutazione e l’andamento del business di Porsche vengono monitorati con attenzione. C’è ancora strada da fare ma il passo compiuto da Blume va in quella direzione.