Silicon Valley Bank, le conseguenze del fallimento: cosa dicono gli analisti

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(Adnkronos) – Non c’è panico e non c’è la percezione che il fallimento della Silicon Valley Bank possa generare una crisi di sistema come quella del 2008. Nessun effetto Lehman Brothers, quindi. Gli analisti sono in queste ore orientati a valutare le reazioni dei mercati come il segnale che l’argine possa reggere, perché gli investitori confidano nelle rassicurazioni arrivate, anche se aspettano con attenzione le prossime mosse della Fed e della Bce.  

La prima motivazione è che quello che è accaduto a Svb non possa tecnicamente succedere a una banca più grande. “Il crack della Svb è il secondo più grande fallimento bancario della storia se si escludono quelli avvenuti durante la Grande Crisi Finanziaria del 2008 e la crisi del debito europeo. Il rischio di tasso di interesse di Svb tra asset (obbligazioni a lungo termine a tasso fisso) e passività (depositi a breve termine a tasso variabile) non era coperto. Normalmente, le banche utilizzano gli swap per coprirlo. Con l’aumento dei tassi di interesse, il valore degli asset è diminuito mettendo quindi nelle ormai note difficoltà la banca californiana. Il caso Svb ha fatto sorgere in molti il dubbio, può accadere qualcosa del genere ad una banca più grande? La risposta è no; nessuna grande banca ha una gestione del rischio così carente”, sostiene Raffaele Prencipe, Fund Manager Fixed Income di Dpam. 

L’altro pilastro del ragionamento è la sostanziale tenuta dei mercati. “Le borse europee sono state colpite duramente ieri, con indici in forte calo sulla scia delle preoccupazioni per il crollo delle banche statunitensi. La notizia di Svb si era diffusa già la settimana precedente, innescando un clima di incertezza, ma senza provocare una forte reazione all’evento da parte degli investitori individuali”, osserva Christophe Grosset, European Sales Director di Spectrum Markets. Ieri, rileva l’analista, “abbiamo assistito, invece, a un’impennata dell’attività e a un forte aumento dei volumi, con scambi quasi raddoppiati rispetto alla media giornaliera, ai livelli più alti degli ultimi 6 mesi. La volatilità che si è diffusa sui mercati ha rappresentato un’opportunità per gli investitori individuali, senza minare il sentiment. Il dato Serix sul Ftse Mib è salito ieri fino a sfiorare quota 130, un segnale che gli investitori individuali non sembrano credere che siamo sull’orlo di una nuova Lehman e che confidano nelle rassicurazioni del governo statunitense e della Federal Reserve”. 

Ora, l’attenzione in Europa è rivolta alla prossima riunione del Consiglio della Bce. Questa settimana, sottolinea l’analista, “avremo la possibilità di ascoltare direttamente la Bce e di testare la sua reazione alle notizie. Sarà interessante capire se ci sarà un cambiamento nel piano di rialzo dei tassi di interesse, già fortemente preannunciato, o anche solo un cambiamento nella retorica. L’attenzione, a questo punto, rimane su Francoforte”. E’ d’accordo anche Sandra Holdsworth, Head of Rates Uk di Aegon Asset Management, “avrà gli occhi puntati ai mercati finanziari, chiedendosi che cosa dovrà comunicare (e in che modo) in vista della riunione di politica monetaria di questa settimana. Nell’ultimo incontro, i membri avevano preso un forte impegno verso un ulteriore aumento dei tassi di 50 punti base. Oggi, però, i mercati sono decisamente turbolenti a causa dei timori per le banche statunitensi che si diffondono globalmente”. La Bce, spiega l’analista, “potrebbe procedere con un incremento dei tassi anche nel mezzo di una potenziale crisi finanziaria? In questa situazione di volatilità, un tale rialzo potrebbe innescare una crisi finanziaria? Sono domande difficili per la Bce, giunta in quest’ultimo capitolo dell’impostazione di politiche successive alla pandemia e alla guerra. Nel complesso, ci aspettiamo che la Bce mantenga l’impegno assunto in precedenza e proceda quindi a un rialzo”. 

Simmetricamente a quanto avviene in Europa con la Bce, i riflettori restano puntati sulla Fed negli Stati Uniti. “Le misure messe prontamente in campo dalle autorità statunitensi limiteranno i danni ed eviteranno effetti sistemici. Tuttavia, le condizioni del credito si sono inasprite e i dati economici statunitensi di questa settimana dovrebbero fornire ulteriore sostegno e avvalorare la tesi di coloro che ritengono che la stretta della Federal Reserve (Fed) si sia spinta troppo in là”, sostiene Steven Bell, Chief Economist Emea di Columbia Threadneedle Investments. I mercati, spiega, “hanno nuovamente iniziato a prevedere un cambio di rotta da parte della Federal Reserve, con le aspettative per il tasso di finanziamento a fine anno che sono scese di ben 0,8 punti percentuali nel corso della settimana. Il potente dollaro si è indebolito”. 

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