(Adnkronos) – (di Elvira Terranova) – “Chi ha combattuto, senza termini, la mafia è stato mio marito, Nicola Mancino. Me lo hanno distrutto con accuse infamanti, con dieci anni di bugie. Mio marito è stato il nemico numero uno della mafia, vorrei che fosse chiaro”. A parlare con l’Adnkronos è la signora Gianna Di Clemente, moglie dell’ex Presidente del Senato ed ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, che fu prima indagato e poi imputato nel processo di primo grado per la trattativa tra Stato e mafia, con l’accusa di falsa testimonianza. I pm lo iscrissero nel 2012 nel registro degli indagati dopo un interrogatorio a Palermo. La Procura riteneva che Mancino, il giorno dell’insediamento al Viminale il primo luglio 1992 sapesse della trattativa che prevedeva di cedere al ricatto dei boss in cambio della rinuncia all’aggressione terroristica e ai progetti di uccisione di altri uomini politici. Per i pm palermitani l’ex presidente del Senato ed ex vicepresidente del Csm avrebbe negato nell’interrogatorio “l’evidenza” per “coprire responsabilità proprie e di altri”. Ma Mancino fu assolto dall’accusa nel processo di primo grado. E i pm non presentarono ricorso. L’assoluzione divenne definitiva.
“Nicola Mancino in questo dibattimento è imputato di falsa testimonianza ma sotto il profilo mediatico è diventato l’emblema della trattativa. Per lui tutto questo ha comportato un danno enorme, perché e sempre stato impegnato nella vita politica del Paese, ha avuto un lungo arco di tempo di permanenza in Senato, è stato ministro dell’Interno e presidente del Senato”, aveva detto nel corso della sua arringa difensiva l’avvocata Nicoletta Piergentili, uno dei legali di Mancino. L’ex politico ha accolto la notizia della sentenza sulla trattativa, che ha assolto definitivamente dall’accusa di minaccia a corpo politico dello Stato i generali Mario Mori e Antonio Subranni, ma anche il colonnello Giuseppe De Donno e l’ex senatore Marcello Dell’Utri, nella sua abitazione.
“Ma non sta bene, non se la sente di parlare. E’ troppo provato”, dice oggi la moglie, signora Gianna. Che, però, ci tiene a dire: “Guardi, lo ha detto anche il boss Totò Riina in una intercettazione: ‘Mancino è stato il nemico numero uno della mafia’, e questi giudici me lo hanno distrutto mio marito, con dieci anni di bugie e cose inventate, per diventare protagonisti”.
Poi la signora Gianna Di Clemente prosegue con l’Adnkronos: “Perché questi giudici che lo hanno messo sotto accusa non andavano a vedere tutto quello che mio marito ha fatto contro la mafia? Io ho sempre sostenuto, in cuor mio, che questi attentati li hanno fatti perché mio marito ha dato fastidio alla mafia, ma questo non lo ha capito nessuno. Per alcuni Mancino era diventato il capo mafia…”. E ricorda quell’incontro, avvenuto il primo luglio del 1992 tra il marito e Paolo Borsellino, che sarebbe stato ucciso tre settimane dopo in via D’Amelio. “Ma secondo lei, mio marito, appena insediato al Viminale come ministro dell’Interno, mandava a chiamare un giudice? Lo hanno messo in croce su questo incontro. Infilato in un tritacarne…”.
Per l’ex pm Antonino Di Matteo che, con i colleghi Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, rappresentava l’accusa nel processo “le affermazioni di Mancino sull’incontro con il giudice Borsellino al Viminale nel giorno dell’insediamento di Mancino da ministro dell’Interno sono state oscillanti e contraddittorie. Fino al 2010 Mancino non aveva nessun ricordo di quell’incontro”.
“Dieci anni di bugie”, continua a ripetere la moglie dell’ex ministro ed ex Presidente del Senato. E conclude, con un groppo in gola: “Guardi, in questi anni ho mandato giù tanto di quel veleno, non mi lasci dire altro…”.