autore di culto con ‘L’insostenibile leggerezza dell’essere’
(Adnkronos) – Lo scrittore ceco naturalizzato francese Milan Kundera, la cui fama mondiale è legata al romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere” (1984, pubblicato in italiano da Adelphi, come tutti i suoi libri), un titolo enigmatico che si è impresso nella memoria collettiva degli anni ’80, considerato un capolavoro della letteratura contemporanea, è morto a Parigi all’età di 94 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato dalla televisione ceca questa mattina.
Espulso dal regime comunista, Kundera emigrò in Francia nel 1975 con la moglie Vera Hrabanková, che è stata accanto a lui fino all’ultimo. Nel 1979, dopo la pubblicazione de “Il libro del riso e dell’oblio” gli fu tolta la cittadinanza cecoslovacca. Nel 1981, grazie all’interessamento del presidente François Mitterrand, ottenne la cittadinanza francese, cominciando a scrivere un decennio più tardi nella lingua della nazione adottiva. In occasione dei suoi 90 anni, il governo di Praga ha restituito la cittadinanza ceca al grande scrittore.
Nei suoi racconti e romanzi, che gli hanno procurato fama internazionale (tra cui “L’immortalità”, 1990), Kundera ha affrontato i temi dell’attualità politico-sociale del suo paese inserendoli nella più vasta problematica della condizione dell’uomo moderno. Importanti ed influenti anche le riflessioni sul romanzo europeo contenute in “L’arte del romanzo (1986). Dalle sue opere sono stati tratti soggetti e sceneggiature, fra i quali “Lo scherzo” (1969) e soprattutto “L’insostenibile leggerezza dell’essere” (1988), fim diretto da Philip Kaufman con Daniel Day-Lewis (Tomáš) e Juliette Binoche (Tereza), dove si fondono storia, autobiografia e intrecci sentimentali: ambientata nel 1968 a Praga, la storia racconta la vita e le vicende di un “quartetto” di artisti e intellettuali cecoslovacchi durante la “Primavera di Praga” interrotta dall’invasione sovietica con il proposito di “correggere fraternamente il deviazionismo” dalla buona strada socialista che aveva contagiato l’intera nazione.
Milan Kundera ha esordito come poeta (“L’uomo è un grande giardino”, 1953), cui seguì “L’ultimo maggio” (1955). Nella raccolta di liriche “Monologhi” (1957, rielaborata nel 1964 e 1965) supera gli schemi dell’epoca con una visione dell’amore esplorato nella sua dimensione drammatica ed erotica. Ha debuttato come drammaturgo nel 1962 con “I proprietari delle chiavi”, ambientato nel periodo dell’occupazione fascista. La commedia “Due orecchie due nozze” (1968) non poté essere rappresentata.
Vocazione principale di Kundera è comunque quella di narratore. Il primo libro di racconti “Amori ridicoli” (1963), e i seguenti “Secondo quaderno di amori ridicoli” (1965) e “Terzo quaderno di amori ridicoli” (1968) hanno avuto un’eco notevole; nel 1970 li ha rielaborati in un volume che riprende il primo titolo. Il suo primo romanzo, “Lo scherzo” (1967), è una satira violenta e dolorosa della realtà cecoslovacca negli anni del culto della personalità. Alcuni temi dei racconti riappaiono spesso nei romanzi successivi: lo scherzo o altro accadimento minuto e spesso casuale rappresenta la trappola della storia, gli aspetti penosi dell’amore, il rimpianto, l’oblio.
Sono eloquenti i titoli dei romanzi (vietati nell’allora Repubblica Cecoslovacca e pubblicati all’estero): “La vita è altrove” (1973, insignito del Prix Médicis Etranger), “Il valzer degli addii” (1975), “Il libro del riso e dell’oblio” (1978), “L”L’insostenibile leggerezza dell’essere” (1984), “L’immortalità” (1990). Negli anni Novanta ha iniziato a scrivere in francese: a quest’ultima fase appartengono le opere “La lentezza” (1995), “L’identità” (1997), “L’ignoranza” (2001).
La struttura dei romanzi di Kundera richiama quella di una composizione musicale, per il ricorso al contrappunto, alle variazioni, al leitmotiv; la sintassi e il lessico sono semplici, rare le metafore. Il romanzo è considerato da Kundera come un mezzo d’elezione per esaminare e conoscere “attraverso gli ego sperimentali” i personaggi, i grandi temi dell’esistenza umana. Per lungo tempo si è dedica a riflessioni teoriche su questo genere letterario. Nel 2009 per Adelphi (il suo editore italiano di riferimento) è uscito il complesso “Un incontro”, sulla fisionomia del romanziere e la sua occulta, vitale, dolorosa fisiologia. Tra i suoi saggi “I testamenti traditi” (1992) e “Il sipario” (2005).
Del 2013 è “La festa dell’insignificanza”, che può essere considerato una sintesi di tutta la sua opera: una strana sintesi, uno strano epilogo; uno strano riso, ispirato dalla nostra epoca che è comica perché ha perduto ogni senso dell’umorismo.
Nato a Brno, nell’allora Cecoslovacchia (attualmente in Repubblica Ceca), il 1º aprile 1929, Milan Kundera era figlio di Ludvík (1891-1971), un noto pianista, direttore dell’Accademia Musicale di Brno. Milan studia musica fin da bambino, in particolare pianoforte e la passione per la musica tornerà spesso nei suoi testi letterari. Dopo aver frequentato i corsi di letteratura e filosofia all’Università Carlo di Praga, Kundera passa alla Facoltà di Cinematografia dell’Accademia delle arti drammatiche e musicali di Praga, dove si laurea nel 1958 e ne divenne docente con l’incarico del corso di Letterature comparate (1958-69).
Iscritto fin da studente al Partito comunista viene espulso due volte (nel 1950 e nel 1970) per le sue idee estranee alle linee ufficiali del canone ideologici imposto dal regime del socialismo reale. Nel 1968 si schiera con il movimento di riforma della cosiddetta ‘Primavera di Praga’: dopo l’intervento sovietico in Cecoslovacchia Kundera non poté più pubblicare e nel 1970 fu licenziato perdendo il posto di docente.
Ottenuto un permesso di espatrio temporaneo per la Francia, nel 1975 si stabilì a Parigi, insegnando prima all’Università di Rennes e poi all’Ecole des hautes études en sciences sociales della capitale francese.
Dal 1969 le sue opere vennero proibite in Cecoslovacchia e da allora non concesse a nessuno i diritti di traduzione in lingua ceca. Per questa ragione Kundera subì critiche in patria anche negli ambienti del dissenso di Charta ’77. Bisognerà attendere fino al 2006 affinché Kundera dia il permesso di pubblicazione del romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere” anche nella Repubblica Ceca, tramite un’edizione anastatica di quella pubblicata in ceco a Toronto già nel 1985.
Presente nel toto-Nobel per molti anni e senza mai riceverlo, Milan Kundera ha ottenuto numerosi riconoscimenti: nel 1973 il Prix Médicis, nel 1978 il Premio Mondello, nel 1981 l’American Common Wealth Award alla carriera, nel 1985 il Jerusalem Prix, nel 1987 il Premio di Stato austriaco per la letteratura europea, nel 1987 il Nelly-Sachs-Preis, nel 1990 la Legion d’onore della Repubblica francese, nel 1991 l’Independent Foreign Fiction Prize, nel 1994 il Jaroslav-Seifert-Prize, nella 1995 la Medaglia al Merito della Repubblica Ceca, nel 2000 il Premio Herder, nel 2001 il Gran premio di letteratura dell’Accademia francese. Nel 2011 le sue opere sono state raccolte in due volumi, a cura di François Ricard, nella “Bibliothèque de la Pléiade”, collana prestigiosa della Gallimard dove solo raramente vengono ammessi autori viventi.
Un anno fa Kundera aveva donato tutti i suoi libri e il suo archivio privato alla Biblioteca regionale di Brno, la sua città natale.
Protetto da un titolo enigmatico, che si imprime nella memoria come una frase musicale, il romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere” obbedisce fedelmente al precetto di Hermann Broch: “Scoprire ciò che solo un romanzo permette di scoprire”. Questa scoperta romanzesca non si limita all’evocazione di alcuni personaggi e delle loro complicate storie d’amore, anche se Tomáš, Teresa, Sabina, Franz esistono subito, dopo pochi tocchi, con una concretezza irriducibile e quasi dolorosa.
Dare vita a un personaggio significa per Milan Kundera “andare sino in fondo a certe situazioni, a certi motivi, magari a certe parole, che sono la materia stessa di cui è fatto”. Entra allora in scena un ulteriore personaggio: l’autore. Il suo volto è in ombra, al centro del quadrilatero amoroso formato dai protagonisti del romanzo: e quei quattro vertici cambiano continuamente le loro posizioni intorno a lui, allontanati e riuniti dal caso e dalle persecuzioni della storia, oscillanti fra un libertinismo freddo e quella specie di compassione che è “la capacità massima di immaginazione affettiva, l’arte della telepatia, delle emozioni”.
All’interno di quel quadrilatero si intreccia una molteplicità di fili: un filo è un dettaglio fisiologico, un altro è una questione metafisica, un filo è un atroce aneddoto storico, un filo è un’immagine. Tutto è variazione, incessante esplorazione del possibile.
Con leggerezza, Kundera riesce a schiudere, dietro i singoli fatti, altrettante domande penetranti e le compone poi come voci polifoniche, fino a raccontare una vertigine che riconduce alla nostra esperienza costante e muta. Ritroviamo così certe cose che hanno invaso la nostra vita e tendono a passare innominate dalla letteratura, schiacciata dal loro peso: la trasformazione del mondo intero in una immensa ‘trappola’, la cancellazione dell’esistenza come in quelle fotografie ritoccate dove i sovietici fanno sparire le facce dei personaggi caduti in disgrazia.
Esercitato da lungo tempo a percepire nella ‘Grande Marcia’ verso l’avvenire la più beffarda delle illusioni, Kundera ha saputo mantenere intatto il pathos di ciò che, intessuto di innumerevoli ritorni come ogni amore torturante, è pronto però ad apparire un’unica volta e a sparire, quasi non fosse mai esistito.
“L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera è diventato in Italia un romanzo di culto grazie anche a Roberto D’Agostino, che lo lanciò in maniera anomala durante trasmissione “Quelli della notte” di Renzo Arbore su Raidue nel 1985. E sempre al tormentone che riuscì a imbastire D’Agostino semplicemente sull’evocativo titolo, senza mai parlare della trama, il capolavoro dello scrittore ceco naturalizzato francese passò alle cronache mondane come primo libro da leggere assolutamente perché di moda.
E a rafforzarne il successo pop ci si mise anche il cantautore romano Antonello Venditti, che usò il titolo del romanzo per l’omonima canzone inserita nell’album “Venditti e segreti” (1986).
Il libro di Kundera era stato scelto dalla casa editrice Adelphi per inaugurare la nuova collana ‘Fabula’. Nell’ottobre del 1984, in occasione dell’uscita, passò quasi inosservato. Ma pochi mesi dopo, il 29 aprile del 1985, le cose cambiarono rapidamente quando andò in onda la prima puntata di “Quelli della notte”. Nel popolare programma tv i personaggi-spalla di Arbore si identificavano per un tormentone: il “filosofo” Riccardo Pazzaglia citava il “brodo premordiale”; il comunista romagnolo ‘fedele alla linea’ Maurizio Ferrini ripeteva “non capisco ma mi adeguo”; l’improbabile frate Antonino da Scasazza (Nino Frassica) raccontava “nanetti”; il ‘lookologo’ Roberto D’Agostino apriva ogni suo intervento dicendo “come scrive Milan Kundera ne L’insostenibile leggerezza dell’essere…”.
Volente o nolente, il tormentone di Roberto D’Agostino su Kundera inaugurò un nuovo modo di promuovere i libri in tv, capace di decretarne il successo di vendite.
L’ultima apparizione pubblica di Milan Kundera risale al 27 gennaio 1984, quando fu ospite di Bernard Pivot, conduttore e critico letterario di “Apostrophes”, all’epoca il programma culturale più seguito della televisione francese. Da quel momento lo scrittore non ha più rilasciato interviste e con la moglie Vera Hrabanková ha formato “la coppia più silenziosa di Parigi”, come ha raccontato alla rivista “Paris Match” uno dei suoi vicini, il giornalista Philippe Labro. France Culture, parafrasando il suo libro più noto, l’ha chiamata “l’insostenibile potenza del silenzio”.
(di Paolo Martini)