Cegos barometer, per 1 Hr manager su 2 Ia e Big data rivoluzioneranno lavoro

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(Adnkronos) – Intelligenza artificiale e Chatgpt: nell’ultimo anno hanno iniziato a influenzare le abitudini aziendali. Infatti, il 48% dei responsabili hr individua nell’Intelligenza Artificiale (AI) e nei big data e nei nuovi modi di lavorare (40%), i fattori di maggior impatto sull’organizzazione in termini di sviluppo di competenze; a livello Italia viene indicata al secondo posto la transizione ecologica (45% vs 27% Int). In particolare, il 74% dei dipendenti (+7 punti rispetto al 2022, 69% Ita) pensa che le attuali sfide della trasformazione (tecnologica, climatica, sociale…) cambieranno il contenuto del loro lavoro, con un terzo di loro (22% Ita) che esprime apprensione riguardo la potenziale scomparsa del proprio impiego. 

Questi i primi dati del Cegos observatory barometer ‘Transformations, skills and learning’, survey annuale realizzata dal Gruppo Cegos, tra i principali player nel learning & development. L’edizione 2023, appena conclusa, ha visto la partecipazione di 5.048 dipendenti e 488 manager hr, con un campione italiano del 10% per entrambi i target, ed è stata condotta in 9 Paesi tra Europa (Italia, Francia, Germania, Portogallo, Spagna), Asia (Singapore) e America Latina (Brasile, Messico, Cile) su aziende con almeno 50 dipendenti.  

Tuttavia, sebbene 4 dipendenti su 10 (29% in Europa) dichiarino di sentirsi sopraffatti dalla tecnologia, (+8% rispetto al 2022), il 79% dei lavoratori italiani ha espresso un sentimento contrario. Medesima percezione è condivisa dagli hr director, i quali ritengono che solo il 14% dei posti di lavoro presenti un rischio di obsolescenza delle competenze nel prossimo triennio (18% Int).  

Allo stesso tempo, per far fronte a questi cambiamenti il 57% dei responsabili delle risorse umane a livello internazionale (38% Ita) intende sostenere i dipendenti nell’aggiornamento delle competenze e assumere nuovi profili (56%, +10% rispetto al 2022, 52% Ita). In Italia lo sviluppo di skill legate ad altre professioni, per la mobilità interna e il ricollocamento, è considerato dal 55% degli hr (50% Int).  

Questo impegno prevede al primo posto il potenziamento delle digital skill (42% vs 33% Ita) – l’alfabetizzazione digitale è al primo posto come necessità di forte supporto nelle organizzazioni secondo il 61% degli hr (65% Ita) -, a seguire le soft skill (38%, 37% Ita), con particolare enfasi sull’agilità e l’adattabilità (53%), successivamente il miglioramento delle competenze manageriali (35%, in calo di 4 punti rispetto al 2022, 37% Ita) e di business (29% vs 17% Ita); la transizione ecologia è in fondo all’elenco delle priorità per i prossimi anni.  

Gli hr director sono attratti dall’AI come possibile risorsa per l’azienda: il 63% degli hr manager prevede, infatti, di utilizzarla per personalizzare i percorsi formativi. Tuttavia, ad oggi solo il 10% di loro 5% Ita) l’ha effettivamente già impiegata come risorsa di apprendimento mentre un 23% del campione non la considera ancora rilevante per la propria organizzazione (32% Ita). Dal canto loro, il 31% dei dipendenti (24% Ita) afferma di impiegare o aver già utilizzato strumenti di AI generativa, come Chatgpt, per formarsi; il 40% ha in programma di farlo nel prossimo futuro.  

“Il Barometer – osserva Alessandro Reati, hr business practice leader di Cegos Italia – fa emergere, in coerenza con quanto rilevato anche negli ultimi anni, l’importanza di adattare le competenze alle sfide della trasformazione digitale. Per realizzare questo obiettivo, è fondamentale spiegare chiaramente il tema, sviluppare abilità pratiche nell’uso delle tecnologie e applicare direttamente queste conoscenze all’operatività aziendale. Le soluzioni basate sull’AI iniziano ad apparire come leve nel mondo organizzativo: dovremmo usarle al meglio per amplificare l’impatto della formazione nei processi aziendali”.  

“Possiamo essere ottimisti? – si chiede – in parte: la resilienza dimostrata dalle aziende durante la crisi da Covid-19 indica un buon potenziale che però deve essere corroborato da visione strategica, investimenti ed un approccio collaborativo tra direzioni e basi aziendali nel disegno dei percorsi di cambiamento. Nel Barometer si nota, però, anche un elemento che dovrebbe preoccuparci: le competenze per affrontare la transizione ecologica risultano marginali nella lista delle skill prioritarie da supportare e sviluppare. Questo dato potrebbe riflettere le difficoltà che i manager hr incontrano nel comprendere e integrare appieno questo cambiamento nella strategia di learning&development. E’ una sottovalutazione rischiosa, vista l’attuale crescita della regolamentazione in questo ambito”. 

La formazione a misura della persona: subito applicabile, face-to-face ma anche divertente. Le 3 caratteristiche che la formazione dovrebbe avere secondo i dipendenti sono: l’utilità sul lavoro (52%, specie in Italia, 67%), face to face e guidata da un formatore (42%, 34% Ita), divertente (33%, 20% Ita).  

Avvicinare la formazione al lavoro quotidiano e a situazioni reali, è infatti una forte aspettativa e driver di impegno per il 65% dei dipendenti internazionali e italiani; poi conta anche la facilità di accesso al corso (58% Int, 48% Ita). 

La richiesta di apprendimento è sempre più pregnante tra i dipendenti: il 51% (+15% vs 2022) si aspetta training on the job sul luogo di lavoro e che sia anche maggiormente interattivo e ludico (41%, + 10% vs 2022, 37% Ita); a livello Italia si chiede anche una varietà più ampia in termini di modalità e formati (43%).  

Nonostante il 41% degli hr (in calo di 14 punti rispetto al 2022, ma per il 52% degli italiani) incontri difficoltà nel conciliare l’offerta formativa con le esigenze dell’organizzazione, il 47% di loro intende offrire una formazione più personalizzata per rafforzare l’impegno dei lavoratori e adattarsi alle esigenze dei singoli con l’ausilio di metodi variegati (41% Int, 33% Ita). 

Per gli hr manager i corsi futuri dovranno essere caratterizzati dalla combinazione di diverse metodologie quali l’apprendimento adattivo (62% Ita vs 46% Int), l’e-coaching nel 45% dei casi (43% Ita) e l’apprendimento sociale (48% Ita vs 41% Int). Data learning: 1 hr su 4 non utilizza ancora i dati sulla formazione. I restanti tre quarti se ne avvalgono principalmente per migliorare l’esperienza utente (41%, + 4 punti sul 2022), gestire la propria offerta (19%, 32% Ita) e rafforzare la personalizzazione dei percorsi sulla base delle singole esigenze (15%, 12% Ita).  

Inoltre, da rilevare l’aumento di ricerca di significato nel lavoro: l’85% dei dipendenti a livello internazionale (+7% rispetto al 2022) è aperto all’idea di una completa trasformazione di carriera, se potesse portare maggiore senso alla propria vita professionale. Tanto che emerge che il 76% dei rispondenti sarebbe disposto a partecipare a percorsi formativi al di fuori del proprio orario di lavoro. 

“Supportare le competenze dei lavoratori – osserva Alessandro Reati – è necessario per garantire alle aziende la giusta capacità produttiva, ma anche per creare ambienti di lavoro in grado di attrarre e creare soddisfazione quotidiana. Dall’altro lato, sono proprio i dipendenti stessi ad approcciare proattivamente la formazione, sottolineando quanto l’apprendimento dovrebbe essere concreto, applicabile al lavoro quotidiano nonché in grado di generare integrazione professionale e inclusione sociale”. 

 

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