Caso Orlandi, legale De Pedis: “Tomba a Sant’Apollinare? La chiese la moglie anni dopo”

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(Adnkronos) – “Per come mi è stato raccontato dalla moglie, Enrico De Pedis conosce mons. Vergari, rettore della basilica di Sant’Apollinare, durante la seconda detenzione, abbondantemente dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi. Quando esce (dal carcere ndr), nell’88, instaura un buon rapporto con mons. Vergari perché De Pedis era appassionato di canto gregoriano”. Lo afferma l’avvocato Maurilio Prioreschi, legale della famiglia di Enrico De Pedis, ascoltato in audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori raccontando la vicenda della sepoltura di Enrico De Pedis a Sant’Apollinare e aggiungendo che De Pedis iniziò quindi a frequentare la basilica e le messe.  

“In un incontro dopo la messa domenicale mons. Vergari gli racconta che aveva intenzione di restaurare i locali della cripta per 10 celle mortuarie affinché anche i privati potessere essere sepolti con l’autorizzazione”, continua il legale. Andarono anche “a visitare questi locali della cripta che erano molto fatiscenti. La vicenda finisce qui, era l’88-’89”.  

“Quando De Pedis viene ucciso – prosegue l’avvocato – viene sepolto nella tomba della famiglia della moglie”. Tuttavia la tomba, che si trovava al Verano, ricorda, “subisce ripetutamente atti vandalici. A quel punto alla signora torna in mente la questione della cripta dove potevano essere sepolti anche privati e chiede a mons. Vergari se (De Pedis ndr) poteva essere seppellito lì”. 

Peraltro, ricostruisce l’avvocato, la moglie di De Pedis “lavorava a 200 metri dalla basilica e quindi per lei recarsi al Verano da Prati o dal lungotevere era un viaggio, avendo la possibilità di avere a 200 metri la tomba del marito”. Da qui la richiesta a mons. Vergari. “Quando la moglie concorda con don Vergari la sepoltura nella cripta si fa carico delle spese di ristrutturazione del locale sottostante”, sottolinea ancora l’avvocato replicando a una domanda. 

“De Pedis muore da incensurato, è uno dei pochi casi della storia giuridica del Paese in cui diventa boss dopo che è morto”, ha detto ancora l’avvocato alla commissione, dove ha chiesto di essere ascoltato per “fornire un contributo di verità in questa vicenda”.  

“De Pedis nasce nel 1954, nel 1974 a 20 anni viene arrestato per una rapina, si fa 5 anni di carcerazione preventiva fino al 1979, condannato in primo grado, condannato in appello, assolto in Cassazione – ha ricostruito il legale -. Nel 1982 ci sono le prime rivelazioni dei pentiti sulla banda della Magliana, il pm emette un ordine di cattura e De Pedis si rende latitante. Viene arrestato nel 1984 e rimane detenuto fino al gennaio 1988. Subisce tre processi davanti al tribunale di Roma per traffico di sostanze stupefacenti e due per associazione a delinquere, cinque omicidi, qualche rapina. Alla fine di questo iter processuale De Pedis viene assolto da tutte le imputazioni per non aver commesso il fatto e viene scarcerato nel gennaio ’88”.  

“Io non voglio dire che De Pedis era uno stinco di Santo, ma ognuno va processato per quello che ha fatto e non per quello che si pensa abbia fatto”, ha sottolineato Prioreschi. Il legale ha precisato che “finché era in vita e si è potuto difendere, De Pedis è stato sempre assolto. Dopo la morte gli hanno scaricato addosso tutta una serie di fatti” ha osservato.  

Il legale ha sottolineato che la procura non poteva disporre il trasferimento della tomba di De Pedis senza l’accordo con la famiglia. “Per me – ha sostenuto il legale – sarebbe dovuto rimanere lì per una questione di principio, per tutto il cancan che era successo” e perché per procedere alla rimozione della tomba hanno “demolito la cripta”.  

 

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