Record di occupazione femminile in Italia, gli incentivi alle assunzioni funzionano

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(Adnkronos) – Nel record occupazionale registrato dall’Italia a novembre scorso, spicca la crescita di assunzioni “rosa”.  

A novembre 2023 l’Istat ha registrato 23 milioni e 743 mila lavoratori, tra permanenti e a termine, segnando un +2,2%, ovvero 520 mila occupati in più. Con questo aggiornamento, il tasso di occupazione sale al 61,8%, in crescita dell’1,3% rispetto al novembre 2022, e il tasso di disoccupazione scende al 7,5%. 

Rispetto al mese precedente, ottobre 2023, gli occupati sono cresciuti dello 0,1%, e il dato sull’occupazione femminile è molto significativo. 

Dei 30 mila nuovi occupati, infatti, ben 24 mila sono donne che rappresentano dunque l’80% dell’incremento occupazionale mensile.
 

Le donne occupate raggiungono così i 10 milioni 49 mila unità, ben 258 mila in più rispetto allo stesso mese di un anno prima. Mai nella storia italiana ce ne sono state così tante. 

Dati che Confcommercio commenta così “Il 2024 potrebbe essere un altro anno di crescita, seppure non brillante, ma la partecipazione delle donne al mondo del lavoro è ancora molto lontana dai valori medi europei”. 

Resta tuttavia da evidenziare il boom di assunzioni rosa, prova che gli incentivi per le assunzioni delle donne sono efficaci.  

Il record di occupazione femminile rilevato dall’Istat a novembre 2023 è (anche) il frutto di un percorso politico portato avanti per diversi anni e sempre con maggiore decisione.  

Nella storia recente, infatti, diversi sono stati gli interventi normativi per ridurre il gender gap al lavoro, tra cui: 

– Riforma Fornero (2011-2012): la legge, tanto discussa per quanto riguarda le pensioni, prevedeva una riduzione pari al 50% dei contributi a carico dei datori di lavoro. Nello specifico, in caso di assunzioni con contratto a tempo determinato, lo sgravio durava 12 mesi; mentre per i contratti a tempo indeterminato originali o frutto di trasformazione di un contratto a tempo determinata, lo sgravio durava 18 mesi dalla data di assunzione; 

– Legge di Bilancio 2021: con la Manovra di due anni fa, si è intervenuti in maniera più decisa prevedendo lo sgravio contributivo totale (100% dei contributi) nel limite annuo di 6.000 euro per le assunzioni effettuate nel biennio 2021-2022. L’esonero è stato riconosciuto per i contratti a tempo determinato e indeterminato stipulati dal 1° gennaio 2021 e fino al 31 dicembre 2022 e per le trasformazioni dei contratti a tempo determinato intervenute tra le parti nel corso dello stesso periodo. L’incentivo spettava anche in caso di part-time e per i rapporti di lavoro subordinato instaurati in attuazione del vincolo associativo stretto con una cooperativa di lavoro; 

– Legge di Bilancio 2023: ha sostanzialmente confermato l’esonero contributivo al 100% della Manovra 2021, ma ha innalzato a 8.000 euro annui l’importo massimo dello sgravio per il datore di lavoro, incentivando ancora di più l’occupazione femminile. 

Come tutte le agevolazioni, anche l’assunzione agevolata delle donne prevede requisiti specifici precisi: 

– donne “svantaggiate” con almeno 50 anni di età che siano disoccupate da oltre 12 mesi ovunque residenti. Oltre al requisito anagrafico, è necessario essere anche in stato di disoccupazione; 

– donne di qualsiasi età con una professione o di un settore economico caratterizzati da un’accentuata gender gap occupazionale;  

– donne di qualsiasi età ovunque residenti e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi; 

– donne di qualsiasi età residenti in una delle aree ammissibili ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali dell’Unione europea e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi. Tra le aree individuate dalla carta degli aiuti a finalità regionale approvata dalla Commissione europea, ci sono le seguenti regioni: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna. 

“Una donna che mette al mondo almeno due figli ha già offerto un importante contributo alla società, e lo Stato cerca di compensare pagando i contributi previdenziali”. Con queste parole il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha presentato la misura della decontribuzione totale per le mamme approvata con la Manovra 2024.  

In base a questa misura, il 100% dei contributi previdenziali delle mamme di 2 o più figli fino ai dieci anni sarà pagato dallo Stato, di fatto azzerando il cuneo fiscale.  

A fianco a questa norma, è arrivata la stretta sulle pensioni anticipate che, in realtà, non riguarda solo le donne ma tutti i lavoratori ed è causata dalla crisi demografica che imperversa in Italia.  

Quota 103 presenta delle penalizzazioni per chi sceglie di usufruirne, a partire dal ricalcolo contributivo dell’assegno (meno corposo del calcolo retributivo); mentre la nuova Ape sociale aumenta di 5 mesi l’età necessaria per l’uscita anticipata, che passa da 63 anni a 63 anni e 5 mesi. In particolare, l’impianto di Opzione donna richiede 1 anno in più per uscire anticipatamente dal mondo del lavoro: a 61 anni e non più 60 senza figli; a 60 anni e non più 59 con un figlio; a 59 anni e non più 58 con due o più figli. 

La strada è ancora lunga ma se l’invecchiamento della classe operaia italiana non è una buona notizia per il Paese, il boom dell’occupazione femminile lascia intravedere qualche speranza sia sotto il profilo demografico che sotto il profilo della parità di genere. 

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