Omicidio Varese, Paitoni suicida in carcere

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Davide Paitoni, 40 anni, in carcere per aver ucciso il figlio di 7 anni, il primo gennaio scorso, si è suicidato. Lo confermano fonti della procura di Varese. Secondo quanto è emerso nell’ordinanza del gip di Varese Giuseppe Battarino che ha convalidato il fermo e disposto la misura cautelare del carcere, l’uomo ha ucciso il bambino per “‘punire’ la moglie”.

Legale Paitoni: “Era in condizioni di sofferenza fisica e psichica”

“Se avessi immaginato che cosa aveva in mente, avrei in tutti i modi cercato di evitarlo”. Lo ha detto all’Adnkronos Stefano Bruno, legale difensore di Davide Paitoni, l’uomo accusato di avere ucciso suo figlio Daniele di 7 anni lo scorso 1 gennaio a Morazzone, nel varesotto, a poche ore dal suicidio del suo assistito nel carcere di San Vittore. Paitoni, spiega il legale, “era in condizioni di grave sofferenza fisica, psichica e, secondo me, anche psichiatrica”; per quello “avevo chiesto per lui una perizia, ma il giudice ha ritenuto di non disporla perché dalle modalità con cui è stato eseguito il delitto, ha desunto esservi una prova ‘tranquillizzante’ della sua capacità di intendere e di volere”. E anzi “una perizia psichiatrica sarebbe stata anche dilatoria”.

Il problema, per Bruno, era anche la difficoltà di instaurare un canale di comunicazione con Paitoni: “Io parlavo, ma quando si cominciava ad entrare in argomento, lui andava in confusione, in depressione, in pianto; diceva di avere un buio, di non ricordare, di avere le idee confuse; straparlava. Diceva cose a volte con poco senso”. Tuttavia l’avvocato smentisce che a contribuire potesse essere anche l’uso abituale, da parte di Paitoni, di alcool e droga: “lui aveva fatto uso sporadico, in gioventù, di cocaina per andare, ad esempio in discoteca; poi ne aveva recuperata una piccola quantità nel momento in cui era agli arresti domiciliari, o poco prima, ma non era affatto un tossicodipendente. Se poi fosse drogato nel momento in cui è avvenuto il delitto, non lo sapremo mai perché uno degli aspetti su cui ho cercato di far luce, come ho sempre detto, è che non riuscivo a parlare con lui”. Tant’è che “l’ho fatto visitare da una psicologa forense, che mi ha poi dato della documentazione sulla scorta della quale io ho chiesto la perizia psichiatrica”.

E, assicura, “non si è trattato della solita perizia di default che uno chiede quando è di fronte a un cliente che ha commesso un grave reato e dice ‘salviamo il salvabile, cerchiamo di farti passare per matto, no. Io l’ho chiesta dopo aver avuto il conforto di una consulente”.

Adnkronos

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