“Il cinema ci sarebbe stato ancora? Ci si domandava questo durante la pandemia, se ci sarebbero state altre storie, che ne sarà di noi, che futuro ci aspetta. Seguivo con divertimento e angoscia i racconti di Paolo Giordano sul Corriere della Sera ed è iniziata questa riflessione sul voler tradurre questo sentimento senza farlo in maniera diretta però”. Paolo Virzì racconta la genesi di Siccità, oggi Fuori Concorso a Venezia 79 (poi in sala dal 29 settembre con Vision Distribution).
Da un soggetto scritto insieme a Paolo Giordano, con la collaborazione in sceneggiatura di Francesca Archibugi e Francesco Piccolo, il film segue molteplici linee narrative, seguendo l’andirivieni di altrettanti personaggi che cercano – chi meglio, chi peggio – di barcamenarsi in giorni di arida follia.
A Roma infatti non piove da tre anni e la mancanza d’acqua stravolge regole e abitudini. Nella città che muore di sete e di divieti si muove un coro di personaggi, giovani e vecchi, emarginati e di successo, vittime e approfittatori. Le loro esistenze sono legate in un unico disegno, mentre ognuno cerca la propria redenzione.
“Nel momento in cui le strade delle nostre città erano deserte, ed eravamo chiusi ciascuno a casa propria, connessi l’uno all’altro solo attraverso degli schermi, ci è venuto naturale guardare avanti, interrogandoci su quello che sarebbe stata la nostra vita dopo”, dice ancora Virzì, che aggiunge: “È stata un’occasione vitale dal punto di vista artistico per poterci interrogare sul senso del racconto, non poteva che essere un film corale”.
Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Elena Lietti, Tommaso Ragno, Claudia Pandolfi, Vinicio Marchioni, Monica Bellucci, Diego Ribon, Max Tortora, Emanuela Fanelli, Gabriel Montesi, Sara Serraiocco compongono il cast di Siccità.
Chi un tempo era autista di capi di stato e ora si trascina nel traffico di Roma (Mastandrea), chi esce senza volerlo di prigione e si ritrova catapultato in un mondo che non è più quello di 25 anni fa (Orlando), chi un tempo forse attore ora trascorre le giornate facendo stories su Instagram (Ragno), mentre la moglie, un tempo libraia (Lietti), ora chatta con una vecchia fiamma dei tempi del liceo, chi cerca di salvare vite ma non ha più la gioia di vivere (Pandolfi), chi cerca disperatamente qualcuno che le voglia bene (Fanelli), chi cerca di recuperare quanto perduto senza accorgersi però che intorno a lui non c’è più nulla di quello che c’era prima (Tortora).
“Ho avuto la possibilità di avere un cast straordinario, ho chiesto loro di prestarsi a questo ballo collettivo, in un momento di sconforto mettendo in scena la loro autoironia. Ciascuno è stato straordinario, un dono che mi ha permesso di comporre questo mosaico”, dice il regista a proposito dei suoi attori.
“Una galleria di personaggi ugualmente innocenti e colpevoli, un’umanità spaventata, affannata, afflitta dall’aridità delle relazioni, malata di vanità, mitomania, rabbia, che attraversa una città dal passato glorioso come Roma, che si sta sgretolando e muore di sete e di sonno”, prosegue Virzì, che però sottolinea: “Di fronte alle difficoltà, anche catastrofiche, le distanze sociali finiscono per accentuarsi. Si alimentano conflitti, verso una dimensione che non è più quella della rabbia della lotta felice, che in qualche modo ha nutrito la mia generazione, ma una rabbia sorda che sembra portare solo all’autodistruzione”.
Eppure “tutte queste solitudini, questi destini di persone in affanno in fondo sono tutti interconnesse, legati uno con l’altro, e questo è il senso di quello che abbiamo raccontato. Ci sarà una salvezza? Forse sì, ma solamente se ci riconnettiamo. È un film catastrofico, apocalittico in un certo senso, ma non si può raccontare senza la speranza”.
“Questo film si poteva chiamare anche ‘Sete’, perché in fondo parla di questi personaggi assetati, di voler tornare a relazioni che invece vengono mediate da cose inutili, moltitudine di individui ognuno messo di fronte alle avversità”, dice Silvio Orlando, ancora “scosso” per un episodio avvenuto poco prima: “Eravamo tutti insieme sullo stesso motoscafo della Bellucci e arrivati qui tutti i fotografi hanno iniziato ad urlarci “levate!, levate!”, racconta con ilarità l’attore.
“Era dai tempi di N – Io e Napoleone che volevo tornare a lavorare con Virzì”, dice Monica Bellucci, che nel film interpreta una diva che finisce per sedurre un professore, esperto di idrologia (Diego Ribon): “C’è un filo che accomuna tutti perché sanno che devono morire. Il mio personaggio credo sia l’unico che non sembri cercare una redenzione, forse ho scelto di farlo anche per quello”.
Prodotto da Wildside, società del gruppo Fremantle e Vision Distribution, in collaborazione con Sky, Siccità “è stato fatto per le sale. È stata una scommessa che in quel momento sembrava folle. Gianani di Wildside e Orfei di Vision non hanno esitato un momento, hanno resistito al richiamo delle piattaforme, tenendo il punto dell’approdo in sala. Speriamo possa essere una sorpresa quella di rivedere le persone al cinema”, dice ancora Virzì.
“Non credo la gente non abbia voglia di tornare al cinema, li dovrebbe trovare aperti però”, gli fa eco Mastandrea, che aggiunge: “Di solito l’attualità ha bisogno di qualche anno per essere raccontata al meglio dal cinema. Questo film tratta un tema attuale e l’ha fatto quasi subito: la distanza giusta l’ha presa con il linguaggio, con la metafora, e credo che questo sia l’emblema di quello che dovrebbero fare ogni volta i film”. (Adnkronos) – (Adnkronos/Cinematografo.it)