“L’aumento delle persone che si rivolgono ai negozi Compro Oro oggi è tra il 20 e il 30% rispetto a sei mesi fa, a livello nazionale”, afferma Nunzio Ragno, presidente di Antico (Associazione nazionale tutela comparto oro). Del resto, aggiunge l’esperto, “chi guadagna 1.000-1.200 euro al mese come fa a pagare le bollette della luce o del gas che stanno raggiungendo costi mai visti prima?”. Nella prima fase della crisi, 4 anni fa, sostiene l’esperto, “la necessità di ottenere liquidità attraverso la vendita di beni preziosi ha interessato le classi meno abbienti, ora invece sta mettendo mano a propri beni preziosi anche chi all’inizio ha potuto evitare, magari per una permuta finalizzata a un regalo”.
Una situazione che viene fotografata analogamente da un altro osservatorio, quello del credito su pegno a cui si rivolgevano in passato molte famiglie con la speranza di poter riscattare l’anello o le posate d’argento ereditate dai nonni.
“Bisogna tener conto che le persone più povere hanno perso ormai tutti i gioielli di famiglia perché da venti anni i Compra Oro hanno drenato questa ricchezza e quindi tantissime famiglie che sono rimaste bisognose non possono più accedere al credito su pegno”. E’ quanto sostiene Pierluigi Oliva, segretario di Assopegno, l’associazione italiana di riferimento degli Istituti di credito su pegno, interpellato dall’Adnkronos.
“Chi accede al credito su pegno non sono i poverissimi ma la media, alta borghesia, e lo dimostra il fatto – riferisce Oliva – che oltre il 95% dei prestiti, che in media è di mille euro, viene riscattato. Si tratta di persone che hanno dei gioielli anche di un certo valore, mentre più del 50% degli italiani possiede solo la fede nuziale”. Il credito su pegno “è un canale che non è alternativo ai ‘Compra Oro’ ma per ottenere una liquidità aggiuntiva: verosimilmente chi prende un prestito tiene a riscattare il bene dato in pegno”. Questo settore è asfittico in Italia vale meno di 1 miliardo di euro mentre i negozi di compravendita oro stanno aumentando del 20%, anche se rispetto al numero di una decina di anni fa si sono ridotti notevolmente, se prima ce n’erano uno ogni 4-5 mila abitanti ora la proporzione è uno ogni 15mila abitanti.
(di Cristina Armeni)