L’eccellenza turese ottiene la certificazione ministeriale
di “Prodotto Agroalimentare Tradizionale” (PAT)
Dopo essere salita a bordo dell’Arca del Gusto, diventando nell’aprile 2021 presidio Slow Food, la Faldacchea di Turi si fregia di una nuova medaglia: con la determina n. 322 del 16 dicembre scorso, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia, il dolce è stato inserito nell’elenco nazionale dei “Prodotti Agroalimentari Tradizionali” (PAT).
Il meritato riconoscimento è stato coronato grazie all’impegno di Stefano de Carolis, presidente dell’Associazione “La Faldacchea di Turi”, che si è adoperato per tutelare il “dolce della sposa” in quanto retaggio emblematico della storia sociale e culturale del nostro territorio.
«I Prodotti Agroalimentari Tradizionale – premette de Carolis prima di rispondere alle nostre domande – sono disciplinati dal Decreto 350/1999 del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, che ha stabilito le procedure per l’individuazione dei prodotti tradizionali, nonché le azioni per la loro promozione e salvaguardia. Nello specifico, sono considerati PAT i prodotti le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultino praticate sul territorio, in maniera omogenea e secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni».
«Mi preme evidenziare – aggiunge – che abbiamo raggiunto un traguardo importantissimo: la Faldacchea è il primo prodotto turese che viene riconosciuto ufficialmente; finora, nell’elenco ministeriale, non c’era traccia di nessuna tipicità del nostro Comune, neanche di quei prodotti che sono ritenuti “fiori all’occhiello” della produzione agricola e della tradizione enogastronomica di Turi, come i famosi involtini di carne detti “Trònere” o la percoca di Turi, detta “Guardaboschi”, un ibrido scoperto circa cinquant’anni fa dal concittadino Giovanni Dell’Aera. Discorso a parte meritano le ciliegie e il Primitivo di Turi».
Quale iter ha seguito?
«Il 29 luglio 2021, subito dopo la costituzione dell’Associazione, ho inviato alla Regione Puglia l’istanza di riconoscimento della “Faldacchea di Turi” nell’elenco nazionale dei PAT, presentando una serie di dettagliate schede informative in cui è stata ricostruita la storia del dolce turese, l’antica ricetta, il metodo di preparazione, il numero di produttori ufficiali e una stima del quantitativo medio prodotto. Inoltre, ho allegato fotografie storiche e documenti d’archivio.
Lo scorso 3 dicembre, la Sezione Competitività delle Filiere Agroalimentari ha nominato una Commissione con il compito di esaminare le proposte pervenute; il gruppo istruttorio regionale ha, in primis, accertato che la Faldacchea non fosse stata “rivendicata” da nessun’altra realtà territoriale; in seconda istanza, ha analizzato la documentazione trasmessa ed ha espresso parere favorevole. Alla luce di questa decisione, la Regione Puglia ha trasmesso i nuovi prodotti tradizionali al Ministero, il quale provvederà ad aggiornare l’elenco nazionale dei PAT.
Questo elenco, diviso per regioni, si articola in varie categorie: dai prodotti della gastronomia a distillati, liquori e bevande analcoliche, dalle carni fresche ai prodotti vegetali, fino alla preparazione e alle tecniche di allevamento di pesci, molluschi e crostacei. La Faldacchea di Turi è entrata a pieno titolo nella categoria delle “paste fresche e prodotti della panetteria, biscotteria e della confetteria”, assieme alla Copeta di Polignano a Mare e ai Quaresimali di Lecce».
Le sorelle Verna alle prese con la preparazione della Faldacchea
I vantaggi di questa certificazione nazionale?
«Essere entrati nell’elenco nazionale dei PAT, oltre ad essere propedeutico alla registrazione del marchio collettivo, ci permette di avere una marcia in più per far conoscere la Faldacchea di Turi a livello nazionale e anche all’estero. I PAT, infatti, rappresentano un biglietto da visita dell’enogastronomia italiana di qualità e consentono di certificare il legame tra il prodotto tipico e la sua origine geografica. In sostanza, attraverso la Faldacchea si potrà valorizzare la stessa storia di Turi, raccontando gli usi e i costumi, le tradizioni antropologiche e il tessuto sociale in cui il dolce si è diffuso e ha acquisito quelle caratteristiche che lo hanno reso unico nel tempo. Questo, a sua volta, alimenta un’interessante prospettiva legata al turismo: i PAT, alla fine, sono espressione del patrimonio culturale dell’intero territorio, lo identificano e permettono di concertare un circuito virtuoso di iniziative promozionali».
Gli scherzetti realizzati dalla maestra dolciaia Lucia Massaro
Come proseguirà il rapporto con il Club per l’Unesco di Cassano?
«Il primo approccio è avvenuto con la dott.ssa Anna Maria Losito, socia del Club cassanese, dopo la presentazione dell’Associazione “La Faldacchea di Turi” presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati; in quella circostanza mi furono chiesti lumi sulle mie ricerche.
Successivamente, durante le festività natalizie, sono stato invitato dal Club ad esporre il mio studio che rimarca come la Faldacchea sia un dolce della tradizione conventuale pugliese che ha trovato la sua diffusione a Turi. Difatti, il documento ritrovato nell’Archivio Diocesano di Conversano, esclude la presenza di Anna Antonia Martinelli (la ‘monecacédde’) nel Monastero di Cassano delle Murge, attestando che la ‘monecacédde’, all’età di 16 anni, entra nel 1887 nel Convento di Santa Chiara e vi resta per dodici anni. Qui ha modo apprende la ricetta e i segreti della Faldacchea, gelosamente custodita dalle monache claustrate. Tra l’altro è grazie all’intuizione di un’altra maestra dolciaia turese che il dolce assume le peculiarità che lo hanno reso celebre: verso la fine degli anni ’30, Ninetta Dragone modifica la ricetta originaria, aggiungendo al ripieno un pezzo di pan di spagna bagnato con l’alchermes e conia il termine “scherzetto” per indicare la classica decorazione della Faldacchea».
Le ipotesi su come il dolce turese sia approdato a Cassano delle Murge sono tante. Ad esempio, a mio modesto parere, non si può escludere che la stessa Martinelli o le sue discepole abbiamo preparato il banchetto nuziale per qualche famiglia cassanese e, in quell’occasione, la ricetta sia stata appresa. Parimenti, è altrettanto plausibile l’ipotesi che alcuni cassanesi siano venuti a Turi per commissionare i dolci nuziali e abbiano avuto modo di conoscere la “monecacédde”.
Al di là di qualsivoglia supposizione, l’auspicio è che la collaborazione offertaci dal Club per l’Unesco di Cassano vada oltre i campanilismi e metta a frutto la comune passione per uno scambio culturale disinteressato e soprattutto proficuo. Meeting, incontri divulgativi con i giovani, laboratori didattici, percorsi interdisciplinari che si leghino al territorio e alla storia dei Conventi e dei Monasteri: le opportunità per custodire e divulgare la memoria della Faldacchea, assieme al contesto socio-culturale di cui è testimonianza viva, sono innumerevoli. Sta a noi saperle cogliere».