Un tetto del contante a 5mila euro. Lo ipotizza a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, il ministro della Pa e senatore Fi Paolo Zangrillo. “Il contante deve poter esser utilizzato dalle persone, do per scontato che gli italiani siano onesti, non dobbiamo penalizzare chi si guadagna onestamente da vivere per contrastare quei pochissimi che fanno delle porcate, per cui la liberalizzazione del contante è un ragionamento che si può fare tranquillamente”. Il tetto di diecimila euro sembra troppo elevato. “Non credo che il tetto sarà diecimila euro – sottolinea – sarà un po’ meno”. “Sarà cinque”, ipotizza Zangrillo.
Il ministro apre poi anche su un ritorno allo smart working dei dipendenti pubblici. “Prima della pandemia i lavoratori in smart working erano 500mila in Italia, ora sono 5 milioni e mezzo. E le aziende ricorse allo smart working non sono fallite, anzi molte di queste hanno dichiarato che è aumentata la produttività. Lo smart working è uno strumento da utilizzare, con la consapevolezza che ci vuole un approccio al lavoro diverso rispetto a quello tradizionale”, afferma Zangrillo.
“Nel lavoro tradizionale il capo controlla anche visivamente e fisicamente le persone, nello smart working non agisci attraverso il controllo ma valuti i risultati”, prosegue il ministro. Alla domanda se sia, quindi, più produttivo il primo o il secondo, “io credo che se si organizza bene lo smart working è più produttivo – risponde Zangrillo – perché crei le condizioni affinché una persona si trovi in un contesto a lui familiare e quindi ha la possibilità di esser più sereno“.
Ci sono più ‘fannulloni’ nella P.A. oppure nelle aziende private? “I fannulloni sono dappertutto, nelle aziende pubbliche e in quelle private come anche in famiglia, dove troviamo figli che si impegnano di più e figli che lo fanno meno. Io ho imparato una cosa: per combattere il ‘fannullonismo’ la cosa importante è creare le condizioni affinché le persone sul lavoro siano motivate, maturino orgoglio di appartenenza”. Per alcuni l’immagine della P.A. è invece quella di chi al lavoro non si appassiona. “Non credo che sia colpa dei dipendenti – conclude il ministro a Un Giorno da Pecora – ma probabilmente di chi li ha gestiti”.(Adnkronos)