G. Garibaldi, un ‘contadino rivoluzionario’

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Il pronipote dell’Eroe dei due Mondi, in visita a Turi, ha raccontato l’impegno del generale nel rinnovare le tecniche di produzione agricole e l’interesse per la nostra ciliegia ‘Ferrovia’

Durante le scorse festività natalizie, Turi ha avuto l’onore di ricevere l’illustre visita di Giuseppe Garibaldi, pronipote dell’Eroe dei due Mondi.

epigrafe curzio ok

Si tratta del secondo incontro con il nostro paese. «Il primo – ci ricorda Stefano de Carolis – risale al 2011, quando, in occasione della ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia, invitai il dott. Garibaldi per inaugurare l’epigrafe marmorea raffigurante il garibaldino Francesco Curzio, realizzata e donata dall’artista Francesco Valentini, posta sulla facciata della casa natale del patriota che il 5 maggio 1860 si imbarcò nella ‘Spedizione dei Mille’. Per la circostanza, con il patrocinio gratuito del Comune di Turi, allora guidato dal sindaco Vincenzo Gigantelli, Garibaldi fu accolto dalle istituzioni civili e militari all’interno di una cerimonia pubblica, prima in Municipio e poi in Piazza Curzio».

Approfittando del gradito ritorno, abbiamo colto l’occasione per una chiacchierata con il dott. Garibaldi, spaziando dalla passione per l’agricoltura del fautore dell’Unità d’Italia all’eredità politica e umana che ha lasciato ai posteri.

Dopo dieci anni, ritorna a Turi. Il motivo della sua visita?

«In primis, per rincontrare un grande amico, Stefano de Carolis, che conosco per il lavoro di ricerca della verità; poi, per apprezzare la faldacchea, su cui recentemente Stefano ha concentrato i suoi studi. Con Stefano ci siamo trovati fin da subito in sintonia, quando mi ha presentato alcuni aspetti del mondo rurale di Turi che si avvicinavano benissimo ai tratti poco conosciuti della vita del mio bisnonno Giuseppe Garibaldi. Mi ha fatto conoscere questo territorio e la sua ciliegia ‘Ferrovia’, di cui sono diventato battagliero difensore, anche perché il mio bisnonno piantò diversi alberi di ciliegio a Caprera».

Ha accennato agli aspetti poco noti della vita “bucolica” di Garibaldi.

«Ho avuto l’opportunità di conoscere Clelia, figlia del terzo matrimonio di Garibaldi, e di poter apprendere dalla sua viva voce il racconto del periodo che trascorsero a Caprera e dell’impegno che Garibaldi si impose per trasformare una terra granitica e ostile in una vera e propria azienda agricola all’avanguardia. In seguito, mi sono imbattuto nel lavoro del prof. Curatolo, “Garibaldi agricoltore”, pubblicato nel 1930: un pregevole volume che ripercorre la vita di Garibaldi con testimonianze dell’epoca e che mi è servito come punto di partenza per ritrovare quello di cui gli storici non si erano mai occupati».

portanova

Da dove nasce l’interesse per l’agricoltura?

«Al termine del compimento dell’unità di buona parte dell’Italia, il mio bisnonno si mise alla ricerca di un posto in cui vivere che gli consentisse di restare in collegamento con il mondo e di avere tempo per riflettere. Alcuni grandi amici sardi, che aveva incontrato quando costituì la legione italiana in Brasile – dove, tra l’altro, incontrò la sua Anita – lo convinsero a venire a vivere in Sardegna e, dopo aver visitato vari luoghi, si fermò nell’isola di Caprera, nell’Arcipelago della Maddalena.

A quel punto, Garibaldi, “uomo di mare”, figlio di un pescatore, dovette diventare “uomo di terra”. L’isola di Caprera, infatti, all’epoca non era facilmente raggiungibile come oggi e occorreva produrre tutto per conto proprio. Garibaldi, gioco forza, si ingegnò per dare sostentamento alla propria famiglia e per accogliere i tanti amici che venivano a fargli visita da ogni parte del Continente. Tant’è che Caprera, in quel periodo, divenne un punto centrale di osservazione da parte delle potenze straniere europee. Non fu un’impresa facile: si trovò a confrontarsi con un’isola granitica e lavorò tantissimo per trasformare quel terreno ostile in una vera e propria azienda agricola, con 12 ettari di piantagioni e circa 400 capi di allevamento».

Come riesce a vincere questa “sfida con la natura”?

«Studiando. Tra una ‘Spedizione dei Mille’ e l’altra, Garibaldi si abbona a riviste scientifiche del tempo per acquisire tutte le nozioni utili. Inoltre, riceve l’aiuto di alcuni tra i migliori agronomi dell’800 e qualche amico gli invia le ultime innovazioni tecniche, contribuendo a far diventare Caprera un territorio di sperimentazione per l’agricoltura.

Ad esempio, gli arriva da Treviso una locomobile che utilizza per mettere in funzione un mulino a vento, a quei tempi unico al mondo, che aveva le pale orizzontali, come un mulino ad acqua, e l’asse portante agganciato a due macine: una per macinare il grano e l’altra per far girare il tornio per la spremitura delle olive».

A tal proposito, le olive sono un altro punto di contatto tra la Puglia e Garibaldi.

«Certo. Garibaldi si stabilì a Caprera anche perché poté acquistarne la metà grazie all’eredità di suo fratello, Felice Garibaldi, che visse per molti anni in Puglia, affermandosi come imprenditore oleario e innovando la tecnica del frantoio. Più tardi, verrà fatta una colletta in Inghilterra per poter comprare l’altra metà dell’isola.

Forte dell’esperienza di Felice, realizzò un impianto di un centinaio di ulivi, provenienti dalla Puglia e da altre zone del Continente, parte dei quali sono ancora vivi. Occorrerebbe ritornare ad occuparsene, magari rinnovando la sinergia con la Puglia, tra Continente e isola, nel nome di Garibaldi, che adesso starebbe studiando come combattere la Xylella».

Nel ritratto di Garibaldi agricoltore, quale peso assume l’attività di ricerca?

aurelia

«È un tassello importantissimo. Garibaldi si concentrò sul miglioramento delle tecniche di produzione; studiò a fondo i problemi di concimazione e quelli di irrigazione; si ingegnò per proteggere le piante da frutto dai forti venti che battevano l’isola. Ad esempio, per poter piantare un aranceto giuntogli in dono da Catania, oltre al solito frangivento di canne, frappose altre piante più resistenti, creando una specie di barriera naturale. Inoltre, mise a punto vari rimedi per curare gli animali; in particolare si fece arrivare da Londra un’arnia di vetro per osservare la vita delle api e, nel tempo, riuscì a guarirle con misture e medicine che preparava da solo.

Tutto questo lavoro è testimoniato nei suoi “Diari agricoli”, che compila dal 1857 fino alla sua morte. Si tratta di una sorta di raccolta di “fogli excel” in cui annota minuziosamente una serie di dati tecnici legati alle attività giornaliere a Caprera, dalle condizioni climatiche ai venti, dalle lune ai periodi di inflorescenza».

È corretto affermare che fu “profeta” delle teorie legate all’economia circolare?

«Sì, ne è stato inconsapevolmente l’antesignano: niente poteva essere sprecato, tutto andava riutilizzato, mantenendo un’armonia nel rapporto con Madre Natura. L’uomo va avanti con idee e innovazioni tecnologiche ma tutto deve muoversi in un rapporto di equilibrio dinamico non autodistruttivo. E per far questo, occorre che si diventi consapevoli dei limiti di ciascuno. Se questa armonia si rompe, la conseguenza è la deriva verso cui stiamo rapidamente scivolando, con i cambiamenti climatici che mettono a dura prova il nostro ecosistema».

Il lavoro nei campi distoglie Garibaldi dalla riflessione politica?

«Nient’affatto. Negli stessi anni in cui sfida la natura refrattaria di Caprera, scrive al cancelliere Bismarck suggerendogli l’iniziativa di un “arbitrato internazionale”, che renda impossibili le guerre tra le nazioni, ponendo le basi per le future Nazioni Unite. Subito dopo la battaglia del Volturno, decisiva per l’unificazione dell’Italia, redige il memorandum alle potenze d’Europa, invitandole a farsi paladine dell’unificazione politica del Continente in un unico grande stato federale, cessando ogni guerra e utilizzando i fondi destinati agli sforzi bellici per finanziare scuole e attività di studio professionale. Propone, inoltre, di costituire un unico esercito per accogliere meglio e in maniera organizzata chi viene da lontano e ha bisogno di aiuto».

Cosa replica a chi ha tentato di screditare l’operato dell’Eroe dei due Mondi?

«Convinto antagonista del potere temporale della Chiesa – seppur figlio di papà Domenico e mamma Rosa, ferventi cattolici – immaginava un Dio unico che ha creato tutti. Ogni essere umano è un’emanazione di questa divinità, per cui il principio che lo muoveva era quello di amore innato e istintivo verso ciò che incontrava.

Ho avuto occasione di girare il mondo per lavoro ed ho visitato luoghi, dalla Nigeria all’India, dove Garibaldi non era conosciuto come il “guerriero”, il “corsaro” o “l’amico dei camorristi”, bensì come “l’uomo di pace”: un capo tribù auspicava l’arrivo di un Garibaldi per mettere pace al centro dell’Africa, mentre in India, nel 1982, si parlava dell’influenza di Garibaldi nel pacifismo ghandiano.

Sono queste le migliori risposte al feroce revisionismo che ha investito la figura di Garibaldi nell’ultimo decennio. Una svalutazione, di Garibaldi e della nostra stessa identità nazionale, fatta da un mondo che, forse, si accorge di essere stato incapace di valorizzare e far crescere il proprio territorio. Del resto, se quello che è stato fatto in poco tempo nel 1870 era così sbagliato, abbiamo avuto un secolo e mezzo per poterlo aggiustare».

Quali sono i suoi progetti per il futuro?

Una delle cose che sto cercando di fare è ricreare a Caprera l’azienda agricola del mio bisnonno, valorizzandola come fattoria didattica e produttiva delle eccellenze dell’intero Paese, compreso le ciliegie ‘Ferrovia’. Quei terreni, che sono già stati dichiarati monumento nazionale, oggi sono abbandonati all’incuria e si corre il rischio di perdere per sempre qualcosa che ha un enorme valore sia dal punto di vista ambientale che storico. In parallelo, conto di ripartire con le attività dell’Istituto Internazionale di Studi “Giuseppe Garibaldi”, che abbiamo dovuto sospendere per lavori di ristrutturazione. L’Istituto, nato nel 1871, è la prima associazione, presieduta dallo stesso Garibaldi, che riunisce i reduci garibaldini al fine di “diffondere i valori della libertà dei popoli e della tutela dei diritti umani, attraverso azioni di utilità sociale e beneficenza e per gli scopi primari di solidarietà”. Situato a Roma, nella sede archeologica delle Terme di Diocleziano a Roma, l’Istituto che ho l’onore di dirigere ospita un grande archivio con documenti relativi ai fatti risorgimentali dal 1848 in poi, cimeli e opere d’arte».

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